Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Teoria

Marx contro lo Stato

Pre­sen­tia­mo ai nostri let­to­ri un inte­res­san­te sag­gio teo­ri­co sul­l’e­vo­lu­zio­ne del pen­sie­ro di Karl Marx sul­lo Sta­to, nel­la tra­iet­to­ria che va dal Mani­fe­sto del par­ti­to comu­ni­sta (1848) e La guer­ra civi­le in Fran­cia (1871). Attra­ver­so l’e­sa­me com­pa­ra­to di que­ste due ope­re, gli auto­ri rimar­ca­no le dif­fe­ren­ze riscon­tra­te nel­l’e­la­bo­ra­zio­ne teo­ri­ca mar­xia­na riguar­do allo Sta­to bor­ghe­se e all’at­teg­gia­men­to che ver­so di esso devo­no ave­re i rivoluzionari.
Diver­gia­mo, peral­tro, da alcu­ne del­le con­clu­sio­ni ras­se­gna­te nel testo, che però con­di­vi­dia­mo nel suo impian­to gene­ra­le rela­ti­vo allo svi­lup­po del­l’e­la­bo­ra­zio­ne mar­xia­na sul­lo Sta­to. Pro­prio per que­sto, pub­bli­chia­mo in cal­ce allo stes­so del­le nostre bre­vi osser­va­zio­ni cri­ti­che, che peral­tro abbia­mo tra­smes­so ai due auto­ri allo sco­po di far loro cono­sce­re le nostre opi­nio­ni al riguardo.
Buo­na lettura.
La redazione

Marx contro lo Stato

 

Ariel Mayo e Pez López [*]

 

«Lo stru­men­to poli­ti­co del­la … sot­to­mis­sio­ne [del­la clas­se operaia]
non può ser­vi­re da stru­men­to poli­ti­co del­la sua emancipazione»
(K. Marx, Secon­da boz­za de La guer­ra civi­le in Fran­cia)

 

A mo’ di introduzione

La Comu­ne di Pari­gi (marzo‑maggio 1871) fu il pri­mo gover­no ope­ra­io del­la sto­ria. Nono­stan­te la sua bre­ve dura­ta, nono­stan­te le cir­co­stan­ze in cui si svi­lup­pò la sua azio­ne (una cit­tà asse­dia­ta dal­le trup­pe del­lo Sta­to fran­ce­se e obbli­ga­ta a con­cen­tra­re la mag­gior par­te dei suoi sfor­zi nel­la dife­sa) e la scon­fit­ta fina­le, la sua esi­sten­za ha segna­to un pri­ma e un dopo nel movi­men­to ope­ra­io e, soprat­tut­to, nell’elaborazione del­la con­ce­zio­ne del­lo Sta­to e del­la Rivo­lu­zio­ne da par­te di Karl Marx (1818–1883).
Marx svi­lup­pò la sua teo­ria seguen­do le espe­rien­ze di lot­ta e di orga­niz­za­zio­ne del movi­men­to ope­ra­io del XIX seco­lo. In que­sto sen­so, e con una cer­ta esa­ge­ra­zio­ne, va det­to che fu la lot­ta dei lavo­ra­to­ri a dare ori­gi­ne al mar­xi­smo, e non il mar­xi­smo a pro­vo­ca­re le lot­te dei lavo­ra­to­ri (la stes­sa affer­ma­zio­ne vale per l’anarchismo e le altre cor­ren­ti politico‑teoriche del movi­men­to ope­ra­io). È neces­sa­rio sot­to­li­near­lo poi­ché capi­ta fre­quen­te­men­te che gli intel­let­tua­li ingi­gan­ti­sca­no il pro­prio impat­to sugli acca­di­men­ti pas­sa­ti, pre­sen­ti e futu­ri. Sic­ché, mol­ti intel­let­tua­li mar­xi­sti sosten­go­no con i fat­ti che le idee (le loro idee) sono la cau­sa degli avve­ni­men­ti e che, per que­sto, i lavo­ra­to­ri deb­bo­no subor­di­nar­si alle loro posi­zio­ni e pro­po­ste, poi­ché sono gli intel­let­tua­li a sape­re in che dire­zio­ne va il mondo.
Tut­ta­via, il com­pi­to dell’intel­let­tua­le è mol­to più impor­tan­te del­la cari­ca­tu­ra che abbia­mo dian­zi abboz­za­to. Ben­ché que­sto non ne costi­tui­sca il tema prin­ci­pa­le, l’opera La guer­ra civi­le in Fran­cia (1871) può esse­re con­si­de­ra­ta un esem­pio pra­ti­co di come deve agi­re l’intellettuale che pre­ten­de con­tri­bui­re alla for­ma­zio­ne di un movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio. Marx estrae dall’esperienza del­la Comu­ne una nuo­va pro­spet­ti­va sul­la rivo­lu­zio­ne pro­le­ta­ria e, su que­sta base, modi­fi­ca la sua teo­ria del­lo Sta­to. Sen­za quell’esperienza, sen­za le appros­si­ma­zio­ni, i ten­ta­ti­vi e gli erro­ri com­mes­si dai comu­nar­di pari­gi­ni, quel­la pro­spet­ti­va sareb­be sta­ta impossibile.
Il pre­sen­te lavo­ro è sta­to rea­liz­za­to come pro­me­mo­ria per un semi­na­rio sul tema del­lo Sta­to in Marx, svi­lup­pa­to nel qua­dro di un’organizzazione poli­ti­ca. Per­tan­to, deve esse­re con­si­de­ra­to in con­ti­nua costru­zio­ne, sic­ché tut­ti i con­tri­bu­ti sono ben accetti.


La tra­sfor­ma­zio­ne del­la con­ce­zio­ne mar­xi­sta del­lo Stato
L’opera La guer­ra civi­le in Fran­cia segna un cam­bia­men­to fon­da­men­ta­le nel­la con­ce­zio­ne mar­xi­sta del­lo Sta­to, che può esse­re apprez­za­to a par­ti­re dal­la com­pa­ra­zio­ne con il Mani­fe­sto Comu­ni­sta (1848), in cui Marx e Frie­drich Engels (1820‑1895) affermavano:

«Lo sco­po imme­dia­to dei comu­ni­sti è quel­lo stes­so degli altri par­ti­ti pro­le­ta­ri: for­ma­zio­ne del pro­le­ta­ria­to in clas­se, rove­scia­men­to del domi­nio bor­ghe­se, con­qui­sta del pote­re poli­ti­co da par­te del pro­le­ta­ria­to» (Marx ed Engels, 1986, p. 52)[1].

La clas­se lavo­ra­tri­ce deve, dun­que, con­qui­sta­re l’apparato sta­ta­le per ini­zia­re la costru­zio­ne del­le basi di una socie­tà socialista:

«Il pro­le­ta­ria­to si ser­vi­rà del­la sua supre­ma­zia poli­ti­ca per strap­pa­re alla bor­ghe­sia, a poco a poco, tut­to il capi­ta­le, per accen­tra­re tut­ti gli stru­men­ti di pro­du­zio­ne nel­le mani del­lo Sta­to, vale a dire del pro­le­ta­ria­to stes­so orga­niz­za­to come clas­se domi­nan­te, e per aumen­ta­re, con la mas­si­ma rapi­di­tà pos­si­bi­le, la mas­sa del­le for­ze pro­dut­ti­ve» (Marx ed Engels, 1986, p. 62).

Marx ed Engels con­ce­pi­sco­no lo Sta­to come uno stru­men­to che può ser­vi­re sia al domi­nio del­la bor­ghe­sia che al domi­nio del­la clas­se lavo­ra­tri­ce. Ben­ché segna­li­no che quest’apparato sta­ta­le è anda­to for­man­do­si sin dal­le sue ori­gi­ni come mec­ca­ni­smo di oppres­sio­ne di clas­se, non pon­go­no que­sto tema al cen­tro dell’analisi[2]. Il carat­te­re di clas­se del­lo Sta­to è dato dal­la clas­se che ne detie­ne il con­trol­lo, e non si riflet­te né nel­la strut­tu­ra sta­ta­le, né nel tipo di rap­por­ti socia­li che si svi­lup­pa­no al suo inter­no. In que­sto sen­so, e a dispet­to del­la con­ce­zio­ne clas­si­sta del­lo Sta­to ela­bo­ra­ta nel Mani­fe­sto comu­ni­sta, quan­do si fa rife­ri­men­to al pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio l’apparato sta­ta­le è carat­te­riz­za­to come uno stru­men­to neu­tra­le, che può esse­re pre­so e uti­liz­za­to indi­stin­ta­men­te da qua­lun­que clas­se socia­le per i suoi pro­pri fini.
Nel Mani­fe­sto la fun­zio­ne del­lo Sta­to dopo la rivo­lu­zio­ne socia­li­sta con­si­ste nell’accelerare lo svi­lup­po del­le for­ze pro­dut­ti­ve median­te la cen­tra­liz­za­zio­ne del­la pro­prie­tà dei mez­zi di pro­du­zio­ne. Il socia­li­smo è pen­sa­to come il risul­ta­to del­lo svi­lup­po dell’economia, dedi­can­do poca o nes­su­na atten­zio­ne agli aspet­ti poli­ti­ci del­lo stes­so. Tut­ta­via, la costru­zio­ne del socia­li­smo è impos­si­bi­le sen­za lo svi­lup­po dell’autonomia di cia­scun indi­vi­duo, del­la par­te­ci­pa­zio­ne effet­ti­va di tut­ti al gover­no del­la comunità.
Marx ed Engels affer­ma­no che lo svi­lup­po del­le for­ze pro­dut­ti­ve fini­rà per abo­li­re le dif­fe­ren­ze di clas­se, e, una vol­ta che ciò si sia veri­fi­ca­to, lo Sta­to ces­se­rà di esistere:

«Quan­do, nel cor­so dell’evoluzione, le dif­fe­ren­ze di clas­se saran­no spa­ri­te e tut­ta la pro­du­zio­ne sarà con­cen­tra­ta nel­le mani degli indi­vi­dui asso­cia­ti, il pote­re pub­bli­co per­de­rà il carat­te­re poli­ti­co. Il pote­re poli­ti­co, nel sen­so pro­prio del­la paro­la, è il pote­re orga­niz­za­to di una clas­se per l’oppressione di un’altra. Se il pro­le­ta­ria­to, nel­la lot­ta con­tro la bor­ghe­sia, si costi­tui­sce neces­sa­ria­men­te in clas­se, e per mez­zo del­la rivo­lu­zio­ne tra­sfor­ma se stes­so in clas­se domi­nan­te e, come tale, distrug­ge vio­len­te­men­te i vec­chi rap­por­ti di pro­du­zio­ne, esso abo­li­sce, insie­me con que­sti rap­por­ti di pro­du­zio­ne, anche le con­di­zio­ni d’esistenza dell’antagonismo di clas­se e le clas­si in gene­ra­le, e quin­di anche il pro­prio domi­nio di clas­se» (Marx ed Engels, 1986, p. 63. L’evidenziazione è nostra).

La defi­ni­zio­ne del­lo Sta­to come “vio­len­za orga­niz­za­ta” per l’oppressione di clas­se non si riflet­te nel­la con­ce­zio­ne del­la rivo­lu­zio­ne pro­le­ta­ria. Marx ed Engels sem­bra­no pen­sa­re che è la clas­se lavo­ra­tri­ce nel suo insie­me quel­la che pren­de­rà il pote­re sta­ta­le e comin­ce­rà la costru­zio­ne del socia­li­smo; quin­di, que­sta “vio­len­za orga­niz­za­ta” è diret­ta sol­tan­to con­tro la resi­sten­za del­la borghesia.
Ma subi­to dopo aver riflet­tu­to sul­la que­stio­ne, sor­go­no due dif­fi­col­tà: a) un appa­ra­to che si defi­ni­sce come “vio­len­za orga­niz­za­ta” per l’oppressione di clas­se non per­de il suo carat­te­re oppres­so­re a cau­sa del cam­bia­men­to del­la clas­se che lo con­trol­la; b) la clas­se lavo­ra­tri­ce non pren­de il pote­re, ma lo fan­no un par­ti­to o un movi­men­to, che sono tutt’al più una par­te di essa o un insie­me di indi­vi­dui che si iden­ti­fi­ca­no con la cau­sa del socia­li­smo. Se lo Sta­to con­ser­va le carat­te­ri­sti­che sopra descrit­te, non esi­ste alcu­na garan­zia che la “vio­len­za orga­niz­za­ta” non si rivol­ti con­tro la stes­sa clas­se lavoratrice.
La Comu­ne di Pari­gi modi­fi­cò dra­sti­ca­men­te la con­ce­zio­ne mar­xi­sta del­lo Stato.

Rap­pre­sen­ta­zio­ne di un epi­so­dio del­la Comu­ne di Parigi

Per­ché? Innan­zi­tut­to, per­ché la Comu­ne si scon­trò con i pro­ble­mi con­cre­ti del­la pre­sa del pote­re. Nel­le rivo­lu­zio­ni del 1848, la clas­se lavo­ra­tri­ce era ben lun­gi dal por­si nel­la pra­ti­ca que­sti pro­ble­mi. Nel 1871 essa pre­se nel­le pro­prie mani il pote­re sta­ta­le e dovet­te risol­ve­re cosa far­se­ne. L’organizzazione poli­ti­ca fati­co­sa­men­te costrui­ta da par­te del­la Comu­ne esi­ge­va una rifor­mu­la­zio­ne del­le pre­ce­den­ti idee sul­la con­qui­sta del­lo Stato.
Marx, che già era sta­to coin­vol­to nel­la poli­ti­ca pra­ti­ca del­la clas­se lavo­ra­tri­ce a cau­sa del suo ruo­lo nel Con­si­glio Gene­ra­le dell’Associazione Inter­na­zio­na­le dei Lavo­ra­to­ri (Ail), intra­pre­se il com­pi­to in pre­ce­den­za ricordato.
L’opera La guer­ra civi­le in Fran­cia è il tito­lo abbre­via­to del mani­fe­sto dell’Ail sugli avve­ni­men­ti acca­du­ti nel­la capi­ta­le fran­ce­se. Fu redat­to da Marx e appro­va­to il 30 mag­gio 1871 nel­la ses­sio­ne del Con­si­glio Gene­ra­le dell’Ail. Si trat­ta, dun­que, di un testo scrit­to nel vivo degli even­ti. Marx dedi­cò la ter­za sezio­ne de La guer­ra civi­le in Fran­cia per rifor­mu­la­re la sua teo­ria del­lo Sta­to e del­la Rivo­lu­zio­ne basan­do­si sull’esperienza dei comu­nar­di parigini.
Marx ini­zia citan­do il Mani­fe­sto del Comi­ta­to cen­tra­le del­la Comu­ne, redat­to il 18 mar­zo 1871, dove si legge:

«I pro­le­ta­ri di Pari­gi […] in mez­zo alle disfat­te e ai tra­di­men­ti del­le clas­si domi­nan­ti han­no com­pre­so che è suo­na­ta l’ora in cui essi deb­bo­no sal­va­re la situa­zio­ne pren­den­do nel­le loro mani la dire­zio­ne dei pub­bli­ci affa­ri … Essi han­no com­pre­so che è loro impe­rio­so dove­re e loro dirit­to asso­lu­to di ren­der­si padro­ni dei loro pro­pri desti­ni, impos­ses­san­do­si del pote­re gover­na­ti­vo» (Marx, K., 1985, p. 32).

Fino a que­sto pun­to, il discor­so dei comu­nar­di coin­ci­de con quan­to det­to sul­lo Sta­to nel Mani­fe­sto comu­ni­sta[3]. Tut­ta­via, l’azione del­la Comu­ne era anda­ta ben al di là di quan­to indi­ca­to nel Mani­fe­sto. L’esercito, la poli­zia e i tri­bu­na­li era­no sta­ti sop­pres­si e rim­piaz­za­ti dall’organizzazione atti­va del popo­lo. Era­no i lavo­ra­to­ri (il popo­lo di Pari­gi nel suo insie­me) ad assu­mer­si i com­pi­ti mili­ta­ri e di poli­zia. Tali com­pi­ti non ricad­de­ro più su un grup­po spe­ci­fi­co di per­so­ne, sepa­ra­to dal resto del­la società.
Marx pren­de nota di quan­to sopra e osserva:

«Ma la clas­se ope­ra­ia non può met­te­re sem­pli­ce­men­te la mano sul­la mac­chi­na del­lo Sta­to bel­la e pron­ta, e met­ter­la in movi­men­to per i pro­pri fini» (Marx, K., 1985, p. 32)[4].

Con que­sta bre­ve fra­se, Marx modi­fi­ca la sua con­ce­zio­ne del­lo Sta­to e del­la Rivo­lu­zio­ne; e, sen­za saper­lo, met­te in discus­sio­ne l’esperienza del­le rivo­lu­zio­ni socia­li­ste del XX seco­lo. Nel­la secon­da boz­za de La guer­ra civi­le in Fran­cia si tro­va il seguen­te passaggio:

«Lo stru­men­to poli­ti­co del­la sua [cioè, del­la clas­se ope­ra­ia: Ndt] sot­to­mis­sio­ne non può ser­vi­re da stru­men­to poli­ti­co del­la sua eman­ci­pa­zio­ne» (Cita­to in Rubee e Jano­ver, 2010, p. 61. Il gras­set­to è nostro).

La Rivo­lu­zio­ne non può sem­pli­ce­men­te con­si­ste­re nel­la con­qui­sta del pote­re sta­ta­le. Fare que­sto signi­fi­ca­re man­te­ne­re intat­to l’apparato repres­si­vo for­gia­to dal­la bor­ghe­sia, e ciò impe­di­sce lo svi­lup­po di for­me demo­cra­ti­che di auto­go­ver­no del­la clas­se ope­ra­ia. Men­tre nel Mani­fe­sto comu­ni­sta il cen­tro dell’attenzione è foca­liz­za­to nel­lo svi­lup­po del­le for­ze pro­dut­ti­ve, ne La Guer­ra civi­le in Fran­cia si veri­fi­ca uno spo­sta­men­to ver­so l’eliminazione dell’apparato repres­si­vo e la for­ma­zio­ne di un nuo­vo pote­re che pos­sa ser­vi­re effet­ti­va­men­te da stru­men­to di libe­ra­zio­ne. A nostro giu­di­zio, que­sto spo­sta­men­to è fondamentale.
Il fal­li­men­to del­le espe­rien­ze socia­li­ste del XX seco­lo è, tra l’altro, il fal­li­men­to di una deter­mi­na­ta con­ce­zio­ne del­lo Sta­to e, più spe­ci­fi­ca­men­te, del ruo­lo dell’apparato sta­ta­le nel pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio. Per il socia­li­smo del XX seco­lo lo Sta­to è la solu­zio­ne per tut­ti i pro­ble­mi, e il socia­li­smo è con­ce­pi­to come pro­prie­tà sta­ta­le dei mez­zi di pro­du­zio­ne. Secon­do que­sta con­ce­zio­ne, basta­va eli­mi­na­re la cric­ca bor­ghe­se che dete­ne­va il pote­re sta­ta­le e rim­piaz­zar­la con i mem­bri del par­ti­to. Una vol­ta por­ta­to a ter­mi­ne que­sto com­pi­to, occor­re­va svi­lup­pa­re le for­ze pro­dut­ti­ve nel qua­dro di un fer­reo con­trol­lo sta­ta­le. Sta­ta­li­smo e pro­dut­ti­vi­smo, ecco le due gam­be del socia­li­smo model­lo XX seco­lo. La cen­tra­liz­za­zio­ne dell’apparato sta­ta­le, la con­cen­tra­zio­ne dell’assunzione di deci­sio­ni in una cer­chia ristret­ta di alti fun­zio­na­ri, era­no l’opposto del coin­vol­gi­men­to del­la clas­se ope­ra­ia e dei set­to­ri popo­la­ri negli affa­ri poli­ti­ci. Lo sta­ta­li­smo era (è) nemi­co del­la democrazia.
La pre­oc­cu­pa­zio­ne per l’eliminazione dell’apparato repres­si­vo fa la sua com­par­sa nel perio­do di reda­zio­ne de La guer­ra civi­le in Fran­cia. Così, in una let­te­ra a Kugel­mann del 12 apri­le 1871, Marx scrive:

«Se rileg­gi l’ultimo capi­to­lo del mio 18 Bru­ma­io, vedrai che, par­lan­do del pros­si­mo ten­ta­ti­vo del­la rivo­lu­zio­ne fran­ce­se, sosten­go che non si trat­te­rà più di tra­sfe­ri­re l’apparato burocratico‑militare da una mano all’altra, com’è acca­du­to fino­ra, ma di spez­zar­lo, e que­sta è la con­di­zio­ne essen­zia­le di ogni rivo­lu­zio­ne auten­ti­ca­men­te popo­la­re nel con­ti­nen­te. Ed è ciò che stan­no facen­do i nostri eroi­ci com­pa­gni di par­ti­to a Pari­gi» (cita­to in Rubel e Jano­ver, 2010, p. 60)[5].

Lo stu­dio del­lo svi­lup­po sto­ri­co del­lo Sta­to moder­no dimo­stra la sua cre­scen­te capa­ci­tà di eser­ci­ta­re il con­trol­lo sull’insieme del­la socie­tà. Marx distin­gue tre tap­pe nell’evoluzione del pote­re sta­ta­le[6]: a) lo Sta­to come arma del­la socie­tà bor­ghe­se per lot­ta­re con­tro il feu­da­le­si­mo; b) come “pote­re nazio­na­le del capi­ta­le sul lavo­ro”; c) come pote­re su tut­te le clas­si socia­li (bona­par­ti­smo).
L’apparato repres­si­vo è la mani­fe­sta­zio­ne più visi­bi­le di que­sta ten­den­za. Marx accen­tua in ogni momen­to il carat­te­re del­lo Sta­to come stru­men­to del­la domi­na­zio­ne di classe:

«A misu­ra che il pro­gres­so dell’industria moder­na svi­lup­pa­va, allar­ga­va, accen­tua­va l’antagonismo di clas­se tra il capi­ta­le e il lavo­ro, il pote­re del­lo Sta­to assu­me­va sem­pre più il carat­te­re di pote­re nazio­na­le del capi­ta­le sul lavo­ro, di for­za pub­bli­ca orga­niz­za­ta per l’asservimento socia­le, di uno stru­men­to di dispo­ti­smo di clas­se. Dopo ogni rivo­lu­zio­ne che segna­va un pas­so avan­ti nel­la lot­ta di clas­se, il carat­te­re pura­men­te repres­si­vo del pote­re del­lo Sta­to risul­ta­va in modo sem­pre più evi­den­te» (Marx, K., 1985, pp. 33‑34).

Quest’apparato si per­fe­zio­na inces­san­te­men­te, indi­pen­den­te­men­te dal­la clas­se o fra­zio­ne di clas­se che lo con­trol­la. Marx ripe­te qui l’argomento svi­lup­pa­to nel 18 Bru­ma­io, in cui segna­lò la cre­sci­ta del­la capa­ci­tà di domi­na­zio­ne e con­trol­lo del­lo Sta­to. L’attenzione posta sugli aspet­ti repres­si­vi del­lo Sta­to con­tra­sta con la scar­sa o nul­la impor­tan­za con­ces­sa alla pro­du­zio­ne e dif­fu­sio­ne dell’egemonia sta­ta­le e dell’ideologia domi­nan­te[7].
Quest’apparato repres­si­vo ven­ne uti­liz­za­to dal­le monar­chie asso­lu­te per limi­ta­re i signo­ri feu­da­li duran­te il perio­do del­la nasci­ta del­lo Sta­to moder­no. In tal modo ven­ne ridot­to il fra­zio­na­men­to poli­ti­co pro­prio dell’epoca feu­da­le, in cui il ter­ri­to­rio di un Pae­se si tro­va­va divi­so fra mol­to signo­ri feu­da­li, cia­scu­no dei qua­li gover­na­va le pro­prie ter­re come se fos­se­ro un pic­co­lo Sta­to. In segui­to, le rivo­lu­zio­ni bor­ghe­si (di cui quel­la fran­ce­se del 1789 è la più famo­sa) sop­pres­se­ro il feu­da­le­si­mo e lo Sta­to pas­sò sot­to il con­trol­lo del­la bor­ghe­sia (la sto­ria fran­ce­se del XIX seco­lo mostra che il con­so­li­da­men­to di que­sto con­trol­lo fu un com­pi­to abba­stan­za fati­co­so). Que­sto momen­to coin­ci­de con l’ascesa del movi­men­to ope­ra­io, che creb­be in un qua­dro di ille­ga­li­tà e di dura lot­ta con­tro il pote­re sta­ta­le. Da ciò deri­va l’accento posto sul carat­te­re “pura­men­te repres­si­vo” del­lo Stato.

I comu­nar­di posa­no davan­ti alla sta­tua abbat­tu­ta di Napoleone

Ma è anche vero che la bor­ghe­sia fran­ce­se non poté sta­bi­liz­za­re la pro­pria domi­na­zio­ne poli­ti­ca lun­go il XIX seco­lo. La sto­ria poli­ti­ca del­la Fran­cia di tut­to quel perio­do ne rap­pre­sen­ta una lam­pan­te dimo­stra­zio­ne: si pas­sò di segui­to dall’Impero napo­leo­ni­co alla Restau­ra­zio­ne bor­bo­ni­ca, alla Repub­bli­ca, al col­po di Sta­to e all’Impero di Lui­gi Bona­par­te, ecc. Tut­ti que­sti cam­bia­men­ti dan­no il segno di una gran­de debo­lez­za poli­ti­ca del­la bor­ghe­sia. Ben­ché que­sti con­ti­nui cam­bia­men­ti non pos­sa­no ridur­si a fat­to­ri eco­no­mi­ci (è neces­sa­rio stu­dia­re la sto­ria del perio­do per com­pren­de­re qua­li era­no le for­me adot­ta­te da que­sta debo­lez­za in ogni con­giun­tu­ra), essi deno­ta­no una dif­fi­col­tà per­si­sten­te nel­la costru­zio­ne di ege­mo­nia, la qua­le può esse­re mes­sa in rela­zio­ne con lo scar­so (in ter­mi­ni rela­ti­vi) svi­lup­po del capi­ta­li­smo, che impe­di­va di rea­liz­za­re con­ces­sio­ni mate­ria­li alla clas­se lavo­ra­tri­ce e che, per­tan­to, si con­cen­tra­va nel­la repres­sio­ne del­le sue azio­ni di lotta.

Con­clu­sio­ne. Ripren­de­re e svi­lup­pa­re la pro­spet­ti­va anti­sta­ta­li­sta di Marx
La pro­spet­ti­va adot­ta­ta da Marx con­tra­sta con le idee sul ruo­lo del­lo Sta­to dei pro­gres­si­sti, i qua­li ten­do­no a con­si­de­ra­re l’espansione del­le fun­zio­ni sta­ta­li come un fat­to­re in per sé posi­ti­vo. Marx non solo dice che lo Sta­to è un orga­no repres­si­vo di oppres­sio­ne del­la clas­se, ma anche che può tra­sfor­mar­si in un paras­si­ta dell’insieme del­la società.
Ma la sua posi­zio­ne anti­sta­ta­li­sta, for­gia­ta nel vivo dell’esperienza degli ope­rai pari­gi­ni, è anche ben diver­sa da quel­la dei socia­li­smi del XX seco­lo, che han­no fat­to del cul­to del­lo Sta­to una vera reli­gio­ne lai­ca. È vero che una gene­ra­liz­za­zio­ne così ampia può risul­ta­re erro­nea nei det­ta­gli, ma il qua­dro d’insieme è esat­to: i socia­li­smi del XX seco­lo, nel­le loro diver­se varian­ti (bol­sce­vi­ca, sta­li­ni­sta, tro­tski­sta, gue­va­ri­sta, ecc.), si sono carat­te­riz­za­ti per fare del­lo Sta­to la pana­cea di tut­ti i problemi.
Lo Sta­to è sta­to con­ce­pi­to come uno stru­men­to che ser­vi­va per: a) schiac­cia­re la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne e difen­de­re la “Patria socia­li­sta” con­tro le minac­ce del­le poten­ze capi­ta­li­ste; b) pro­muo­ve­re lo svi­lup­po acce­le­ra­to del­le for­ze pro­dut­ti­ve median­te la cen­tra­liz­za­zio­ne e la pia­ni­fi­ca­zio­ne. Può affer­mar­si che le dif­fe­ren­ti espres­sio­ni socia­li­ste del XX seco­lo han­no ade­ri­to al pun­to di vista di Marx ed Engels espres­so nel Mani­fe­sto comu­ni­sta. Non han­no inve­ce tenu­to in con­to la revi­sio­ne del­la que­stio­ne del­lo Sta­to e del­la Rivo­lu­zio­ne rea­liz­za­ta ne La guer­ra civi­le in Fran­cia e con­ti­nua­ta in altri testi del decen­nio del 1870, come la già cita­ta Cri­ti­ca del Pro­gram­ma di Gotha[8].
Marx segna­lò espres­sa­men­te l’importanza del cam­bio di pro­spet­ti­va rispet­to allo Sta­to nel­la pre­fa­zio­ne all’edizione tede­sca del 1872 del Mani­fe­sto comu­ni­sta, in cui indi­cò qua­li aspet­ti del testo era­no diven­ta­ti obso­le­ti e men­zio­nò espres­sa­men­te il tema del­lo Stato:

«Di fron­te all’immenso svi­lup­po del­la gran­de indu­stria negli ulti­mi ven­ti­cin­que anni e al pro­gre­dien­te svi­lup­po dell’organizzazione di par­ti­to del­la clas­se ope­ra­ia, che l’accompagna; di fron­te alle espe­rien­ze pra­ti­che, pri­ma del­la rivo­lu­zio­ne di feb­bra­io e poi, a mag­gior ragio­ne, del­la Comu­ne di Pari­gi, nel­la qua­le, per la pri­ma vol­ta, il pro­le­ta­ria­to ten­ne per due mesi il pote­re poli­ti­co, que­sto pro­gram­ma è oggi qua e là invec­chia­to. La Comu­ne, spe­cial­men­te, ha for­ni­to la pro­va che “la clas­se ope­ra­ia non può impos­ses­sar­si pura­men­te e sem­pli­ce­men­te di una mac­chi­na sta­ta­le già pron­ta e met­ter­la in moto per i pro­pri fini”» (Marx ed Engels, 1985, p. 8).

La pro­spet­ti­va anti­sta­ta­li­sta di Marx è nota nei testi del decen­nio del 1870. E lo è pure l’accento posto sull’autogoverno del­la clas­se lavo­ra­tri­ce. Dal pun­to di vista poli­ti­co (e que­sto è l’interesse cen­tra­le degli auto­ri di que­sto sag­gio), i testi del perio­do indi­ca­to con­tri­bui­sco­no ad ela­bo­ra­re nuo­ve rispo­ste alla cri­si attua­le del socia­li­smo. Marx non offre le solu­zio­ni. La real­tà che egli esa­mi­na nei suoi scrit­ti appar­tie­ne al pas­sa­to e sareb­be scioc­co cer­car­vi la solu­zio­ne magi­ca ai nostri pro­ble­mi. E tut­ta­via, può inse­gnar­ci un modo diver­so di vede­re le cose, lon­ta­no dal­la cor­ren­te domi­nan­te all’interno del­la sini­stra nel XX secolo.
Come dimo­stra il caso de La guer­ra civi­le in Fran­cia, l’elaborazione di rispo­ste poli­ti­che alla cri­si del socia­li­smo va di pari pas­so con la par­te­ci­pa­zio­ne e l’analisi del­le diver­se espe­rien­ze di lot­ta del­la clas­se ope­ra­ia e dei set­to­ri popo­la­ri. Se si vuo­le fare una rivo­lu­zio­ne, è neces­sa­rio svi­lup­pa­re un modo rivo­lu­zio­na­rio di pen­sa­re la real­tà. Rivo­lu­zio­na­rio per­ché, innan­zi­tut­to, impli­ca il rico­no­sci­men­to che nes­su­na tra­di­zio­ne può risol­ve­re i pro­ble­mi poli­ti­ci attuali.
In defi­ni­ti­va, esse­re rivo­lu­zio­na­rio impli­ca anche rom­pe­re con le tra­di­zio­ni rivo­lu­zio­na­rie. Per dir­la in ter­mi­ni più sem­pli­ci, la rivo­lu­zio­ne è il futu­ro. La tra­di­zio­ne è il pas­sa­to. È da mol­to tem­po che la sini­stra, sia a livel­lo inter­na­zio­na­le che loca­le, vive del e nel pas­sa­to. Con­tro que­sto modo di pen­sa­re dob­bia­mo lot­ta­re sem­pre e sen­za sosta.

Par­que Avel­la­ne­da, 24 gen­na­io 2020.


Marginali osservazioni critiche

(Col­let­ti­vo Assal­to al cielo)

Abbia­mo deci­so di tra­dur­re e pub­bli­ca­re il sag­gio di Ariel Mayo e Pez López, di cui abbia­mo apprez­za­to il rigo­re nell’esegesi del­lo svi­lup­po del pen­sie­ro mar­xia­no rispet­to alla con­ce­zio­ne del­lo Sta­to: il pas­sag­gio dal­la rifles­sio­ne espres­sa nel Mani­fe­sto del par­ti­to comu­ni­sta a quel­la espo­sta ne La guer­ra civi­le in Fran­cia appa­re fon­da­men­ta­le soprat­tut­to oggi.
Infat­ti, se da una par­te è asso­lu­ta­men­te vero che la demo­cra­zia bor­ghe­se costi­tui­sce un siste­ma miglio­re per l’organizzazione, la pro­pa­gan­da, l’agitazione e l’azione dei mar­xi­sti rivo­lu­zio­na­ri, rispet­to a un siste­ma dit­ta­to­ria­le, in cui non c’è alter­na­ti­va al lavo­ro poli­ti­co clan­de­sti­no, è altret­tan­to vero che la lega­li­tà bor­ghe­se rap­pre­sen­ta al con­tem­po un sot­ti­le vele­no che si infil­tra nel­le file del­le orga­niz­za­zio­ni anti­ca­pi­ta­li­ste deter­mi­nan­do un adat­ta­men­to rou­ti­na­rio che ne affie­vo­li­sce la visio­ne anti­sta­ta­li­sta. Al di là, ovvia­men­te, del caso dei par­ti­ti del­la sini­stra rifor­mi­sta – nel­le cui cor­de non rien­tra affat­to la neces­si­tà dell’abbattimento del­le isti­tu­zio­ni del­lo Sta­to bor­ghe­se – a vol­te capi­ta di osser­va­re il para­dos­so per­si­no di mili­tan­ti rivo­lu­zio­na­ri che mani­fe­sta­no un più o meno accen­tua­to affi­da­men­to in quel­le istituzioni.
Abbia­mo per­ciò rite­nu­to uti­le, attra­ver­so la pre­sen­ta­zio­ne di que­sto sag­gio, avan­za­re la neces­si­tà di ripren­de­re una neces­sa­ria rifles­sio­ne sul rap­por­to dei rivo­lu­zio­na­ri ver­so lo Sta­to bor­ghe­se. E ciò a dispet­to del­le dif­fe­ren­ze che nutria­mo riguar­do alle con­clu­sio­ni avan­za­te dagli auto­ri, nel­la par­te in cui essi sosten­go­no che tut­te le varian­ti del socia­li­smo del XX seco­lo (bol­sce­vi­ca, sta­li­ni­sta, tro­tski­sta, gue­va­ri­sta, ecc.) si sareb­be­ro carat­te­riz­za­te per “aver fat­to del cul­to del­lo Sta­to una vera reli­gio­ne lai­ca”, rite­nen­do lo Sta­to la pana­cea di tut­ti i problemi.
Ora, a nostro avvi­so quest’opinione è senz’altro vera per lo sta­li­ni­smo e, in qual­che misu­ra, per il gue­va­ri­smo, atte­so il cor­so par­ti­co­la­re del­la Rivo­lu­zio­ne cuba­na (su cui riman­dia­mo all’articolo “Cuba: dal­la rivo­lu­zio­ne alla restau­ra­zio­ne”, pub­bli­ca­to su que­sto stes­so sito). Non lo è inve­ce per il bol­sce­vi­smo e per il tro­tski­smo, con­si­de­ran­do che mol­ti testi di Lenin (tra cui citia­mo a mo’ d’esempio Sta­to e rivo­lu­zio­ne) e di Tro­tsky (La rivo­lu­zio­ne tra­di­ta, tra i tan­ti) evi­den­zia­no come essi aves­se­ro abbrac­cia­to com­ple­ta­men­te la pro­spet­ti­va di Marx a pro­po­si­to del­lo Sta­to espo­sta nel­lo scrit­to La guer­ra civi­le in Fran­cia, ed era­no ben lun­gi dall’essere inter­pre­ti di un pre­te­so “cul­to del­lo Sta­to”. D’altronde, non si può tra­la­scia­re di tene­re pre­sen­ti i gra­vi pro­ble­mi che la gio­va­ne Rivo­lu­zio­ne rus­sa si tro­vò a dover affron­ta­re dopo la pre­sa del pote­re, quan­do ini­ziò la costru­zio­ne di un’economia di tran­si­zio­ne al socia­li­smo, dato che il sem­pli­ce fat­to di aver mes­so mano a un’architettura giuridico‑istituzionale non capi­ta­li­sta non signi­fi­ca­va di per sé solo la tra­sfor­ma­zio­ne illi­co et imme­dia­te di un siste­ma eco­no­mi­co di uno Sta­to capi­ta­li­sta in un’economia socia­li­sta. Né si può dimen­ti­ca­re che lo stes­so Marx evi­den­zia­va – nel­la Cri­ti­ca del pro­gram­ma di Gotha – che nel pri­mo perio­do di esi­sten­za di uno Sta­to ope­ra­io le nor­me bor­ghe­si di distri­bu­zio­ne ven­go­no man­te­nu­te. Così come va sot­to­li­nea­to che Lenin, anco­ra nel 1918, soste­ne­va che l’economia del­la Rus­sia rivo­lu­zio­na­ria non era giun­ta nean­che al livel­lo di “capi­ta­li­smo di Stato”.
Lenin e Tro­tsky ave­va­no tan­to ben com­pre­so l’evoluzione del pen­sie­ro mar­xia­no nel pas­sag­gio dal Mani­fe­sto a La guer­ra civi­le da aver­lo dimo­stra­to in diver­se loro ope­re: basti pen­sa­re, tan­to per fare solo qual­che esem­pio, alle “Tesi e rap­por­to sul­la demo­cra­zia bor­ghe­se e sul­la dit­ta­tu­ra del pro­le­ta­ria­to” che Lenin espo­se al Pri­mo Con­gres­so dell’Internazionale comu­ni­sta (in Ope­re, Edi­zio­ni Lot­ta comu­ni­sta, 2002, vol. 28, pp. 457 e ss.); o, tra gli altri scrit­ti di Tro­tsky, a Ter­ro­ri­smo e comu­ni­smo (Sugar­co edi­zio­ni, 1977, pp. 111 e ss.), oppu­re a “La lezio­ne del­la Comu­ne”.
Tut­ta­via, l’aver sot­to­li­nea­to que­ste diver­gen­ze non infi­cia mini­ma­men­te la vali­di­tà dell’impianto gene­ra­le del­lo stu­dio sull’evoluzione del­la con­ce­zio­ne mar­xia­na del­lo Sta­to, ad ope­ra di Mayo e López, dei qua­li occor­re valo­riz­za­re l’invito a «ripren­de­re e svi­lup­pa­re la pro­spet­ti­va anti­sta­ta­li­sta di Marx».
Ai due auto­ri, in ogni caso, va il nostro rin­gra­zia­men­to per aver­ci con­ces­so la pos­si­bi­li­tà di pub­bli­ca­re in ita­lia­no il loro lavoro.


Note

[1] Più avan­ti essi tor­na­no a ripe­te­re la stes­sa affer­ma­zio­ne: «Abbia­mo già visto sopra come il pri­mo pas­so nel­la rivo­lu­zio­ne ope­ra­ia sia l’elevarsi del pro­le­ta­ria­to a clas­se domi­nan­te, la con­qui­sta del­la demo­cra­zia» (Marx e Engels, 1986, p. 62).
[2] Marx e Engels indi­ca­no un po’ più avan­ti (cita­zio­ne che ripren­dia­mo anche nel testo) che «il pote­re poli­ti­co, nel sen­so pro­prio del­la paro­la, è il pote­re orga­niz­za­to di una clas­se per l’oppressione di un’altra» (Marx e Engels, 1986, p. 63). Quest’affermazione è in linea con la con­ce­zio­ne che attra­ver­sa l’intero Mani­fe­sto e che sem­bra espres­sa nel­la famo­sa fra­se per cui «la sto­ria di ogni socie­tà sino­ra esi­sti­ta è sto­ria di lot­te di clas­si» (Marx e Engels, 1986, p. 34). Lo Sta­to gio­ca un ruo­lo fon­da­men­ta­le in que­sta lot­ta, poi­ché difen­de il domi­nio del­la clas­se domi­nan­te in ogni socie­tà determinata.
[3] Non è neces­sa­rio al riguar­do affi­na­re l’interpretazione per capi­re che il Comi­ta­to cen­tra­le del­la Comu­ne con­di­vi­de­va le idee del Mani­fe­sto. Se c’era qual­co­sa che carat­te­riz­zò la Comu­ne fu la sua ete­ro­ge­nei­tà ideo­lo­gi­ca: in essa era­no rap­pre­sen­ta­te le diver­se cor­ren­ti del movi­men­to ope­ra­io francese.
[4] Nel­le boz­ze de La Guer­ra civi­le in Fran­cia è anco­ra più enfa­ti­co: «Ma il pro­le­ta­ria­to non può, come han­no fat­to le clas­si domi­nan­ti e le sue diver­se fra­zio­ni riva­li imme­dia­ta­men­te dopo il loro trion­fo, pren­de­re sem­pli­ce­men­te pos­ses­so del cor­po sta­ta­le esi­sten­te e far fun­zio­na­re quest’apparato per i suoi pro­pri fini. La pri­ma con­di­zio­ne per con­ser­va­re il pote­re poli­ti­co è tra­sfor­ma­re il mec­ca­ni­smo in atto e distrug­ger­lo in quan­to stru­men­to di domi­na­zio­ne di clas­se» (Cita­to in Rubel e Jano­ver, 2010, p. 61. Il gras­set­to è nostro. Il pas­sag­gio cita­to si tro­va nel­la secon­da boz­za). Da par­te sua, Engels, nell’Introduzione all’edizione tede­sca de La guer­ra civi­le in Fran­cia (1891), scris­se: «La Comu­ne dovet­te rico­no­sce­re sin dal prin­ci­pio che la clas­se ope­ra­ia, una vol­ta giun­ta al pote­re, non può con­ti­nua­re ad ammi­ni­stra­re con la vec­chia mac­chi­na sta­ta­le; che la clas­se ope­ra­ia, per non per­de­re di nuo­vo il pote­re appe­na con­qui­sta­to, da una par­te deve eli­mi­na­re tut­to il vec­chio mac­chi­na­rio repres­si­vo già sfrut­ta­to con­tro di essa, e d’altra par­te deve assi­cu­rar­si con­tro i pro­pri depu­ta­ti e impie­ga­ti, dichia­ran­do­li revo­ca­bi­li sen­za alcu­na ecce­zio­ne e in ogni momen­to. In che cosa era con­si­sti­ta fino ad allo­ra la pro­prie­tà carat­te­ri­sti­ca del­lo Sta­to? La socie­tà, per la tute­la dei pro­pri inte­res­si comu­ni, si era prov­ve­du­ta di orga­ni pro­pri, all’origine median­te una sem­pli­ce divi­sio­ne del lavo­ro; ma col tem­po que­sti orga­ni, con in cima il pote­re del­lo Sta­to, si sono tra­sfor­ma­ti da ser­vi­to­ri del­la socie­tà in padro­ni del­la mede­si­ma, al ser­vi­zio dei pro­pri inte­res­si par­ti­co­la­ri» (p. 92). Non entre­re­mo nel­la disa­mi­na del signi­fi­ca­to, mol­to equi­vo­co, del­la fra­se «La socie­tà, per la tute­la dei pro­pri inte­res­si comu­ni, si era prov­ve­du­ta di orga­ni pro­pri». Ma tut­ta la pri­ma par­te del para­gra­fo coin­ci­de col pun­to di vista di Marx ne La guer­ra civi­le.
[5] Il para­gra­fo del 18 Bru­ma­io cui Marx si rife­ri­sce è il seguen­te: «Que­sto pote­re ese­cu­ti­vo, con la sua enor­me orga­niz­za­zio­ne buro­cra­ti­ca e mili­ta­re, col suo mec­ca­ni­smo sta­ta­le com­pli­ca­to e arti­fi­cia­le, con un eser­ci­to di impie­ga­ti di mez­zo milio­ne accan­to a un altro eser­ci­to di mez­zo milio­ne di sol­da­ti, que­sto spa­ven­to­so cor­po paras­si­ta­rio che avvol­ge come un invo­lu­cro il cor­po del­la socie­tà fran­ce­se e ne ostrui­sce tut­ti i pori, si costi­tuì nel perio­do del­la monar­chia asso­lu­ta, al cade­re del siste­ma feu­da­le, la cui cadu­ta aiu­tò a ren­de­re più rapi­da. I pri­vi­le­gi signo­ri­li del­la pro­prie­tà fon­dia­ria e del­le cit­tà si tra­sfor­ma­ro­no in altret­tan­ti attri­bu­ti del pote­re del­lo Sta­to, i digni­ta­ri feu­da­li si tra­sfor­ma­ro­no in fun­zio­na­ri sti­pen­dia­ti, e la vario­pin­ta col­le­zio­ne di con­trad­dit­to­ri dirit­ti sovra­ni medioe­va­li diven­ne il pia­no ben rego­la­to di un pote­re del­lo Sta­to, il cui lavo­ro è sud­di­vi­so e cen­tra­liz­za­to come in un’officina. La pri­ma rivo­lu­zio­ne fran­ce­se, a cui si pone­va il com­pi­to di spez­za­re tut­ti i pote­ri indi­pen­den­ti di carat­te­re loca­le, ter­ri­to­ria­le, cit­ta­di­no e pro­vin­cia­le, al fine di crea­re l’unità bor­ghe­se del­la nazio­ne, dovet­te neces­sa­ria­men­te svi­lup­pa­re ciò che la monar­chia asso­lu­ta ave­va inco­min­cia­to: l’accentramento; e in pari tem­po dovet­te svi­lup­pa­re l’ampiezza, gli attri­bu­ti e gli stru­men­ti del pote­re gover­na­ti­vo. Napo­leo­ne por­tò alla per­fe­zio­ne que­sto mec­ca­ni­smo del­lo Sta­to. La monar­chia legit­ti­ma e la monar­chia di luglio non vi aggiun­se­ro nul­la, eccet­to una più gran­de divi­sio­ne del lavo­ro, che si svi­lup­pa­va nel­la stes­sa misu­ra in cui la divi­sio­ne del lavo­ro nell’interno del­la socie­tà bor­ghe­se crea­va nuo­vi grup­pi di inte­res­si, e quin­di nuo­vo mate­ria­le per l’amministrazione del­lo Sta­to. Ogni inte­res­se comu­ne fu subi­to stac­ca­to dal­la socie­tà, e con­trap­po­sto ad essa come inte­res­se gene­ra­le […], strap­pa­to all’iniziativa indi­vi­dua­le dei mem­bri del­la socie­tà e tra­sfor­ma­to in ogget­to di atti­vi­tà del gover­no, a par­ti­re dai pon­ti, dagli edi­fi­ci sco­la­sti­ci e dai beni comu­na­li del più pic­co­lo vil­lag­gio, sino alle fer­ro­vie, al patri­mo­nio nazio­na­le e all’Università di Fran­cia. La repub­bli­ca par­la­men­ta­re, infi­ne, si vede costret­ta a raf­for­za­re, nel­la sua lot­ta con­tro la rivo­lu­zio­ne, assie­me alle misu­re di repres­sio­ne, gli stru­men­ti e la cen­tra­liz­za­zio­ne del pote­re del­lo Sta­to. Tut­ti i rivol­gi­men­ti poli­ti­ci non fece­ro che per­fe­zio­na­re que­sta mac­chi­na, inve­ce di spez­zar­la. I par­ti­ti che suc­ces­si­va­men­te lot­ta­ro­no per il pote­re con­si­de­ra­ro­no il pos­ses­so di que­sto enor­me edi­fi­cio del­lo Sta­to come il bot­ti­no prin­ci­pa­le del vin­ci­to­re» (Marx, 1975, pp. 131‑132). In sin­te­si, lo svi­lup­po del pote­re sta­ta­le non è altro che l’incremento del­la sua capa­ci­tà di con­trol­la­re la socie­tà. Come acca­de in tut­ti i testi che citia­mo in que­sto arti­co­lo, Marx pone in evi­den­za l’aspetto repres­si­vo del­la mac­chi­na sta­ta­le, sen­za esa­mi­na­re i mec­ca­ni­smi ideo­lo­gi­ci che ser­vo­no, sia per la vigi­lan­za che per la dominazione.
[6] Marx si rife­ri­sce al «pote­re sta­ta­le cen­tra­liz­za­to, con i suoi orga­ni dap­per­tut­to pre­sen­ti: eser­ci­to per­ma­nen­te, poli­zia, buro­cra­zia, cle­ro e magi­stra­tu­ra – orga­ni pro­dot­ti secon­do il pia­no di una divi­sio­ne del lavo­ro siste­ma­ti­ca e gerar­chi­ca» (Marx, K., 1985, p. 33).
[7] Marx ed Engels si occu­pa­ro­no dell’ideologia in un testo gio­va­ni­le, pub­bli­ca­to mol­to tem­po dopo la loro mor­te e che si inti­to­la pro­prio L’ideologia tede­sca. In quel lavo­ro l’ideologia è con­ce­pi­ta come una “fal­sa coscien­za” e gli auto­ri pose­ro l’accento sul ruo­lo degli intel­let­tua­li e del­la stam­pa nel­la crea­zio­ne e dif­fu­sio­ne di quest’ideologia. «Le idee del­la clas­se domi­nan­te sono in ogni epo­ca le idee domi­nan­ti; cioè, la clas­se che è la poten­za mate­ria­le domi­nan­te del­la socie­tà è in pari tem­po la sua poten­za spi­ri­tua­le domi­nan­te. La clas­se che dispo­ne dei mez­zi del­la pro­du­zio­ne mate­ria­le dispo­ne, con ciò, in pari tem­po, dei mez­zi del­la pro­du­zio­ne intel­let­tua­le, cosic­ché ad essa in com­ples­so sono assog­get­ta­te le idee di colo­ro ai qua­li man­ca­no i mez­zi del­la pro­du­zio­ne intel­let­tua­le. Le idee domi­nan­ti non sono altro che l’espressione idea­le dei rap­por­ti mate­ria­li domi­nan­ti, sono i rap­por­ti mate­ria­li domi­nan­ti pre­si come idee: sono dun­que l’espressione dei rap­por­ti che appun­to fan­no di una clas­se la clas­se domi­nan­te, e dun­que sono le idee del suo domi­nio» (Marx ed Engels, 1985, pp. 50‑51).
[8] Dedi­che­re­mo un lavo­ro suc­ces­si­vo all’esame dei con­tri­bu­ti alla teo­ria del­lo Sta­to che si tro­va­no nel­la Cri­ti­ca del Pro­gram­ma di Gotha.


Nota biblio­gra­fi­ca
:
Nel­la reda­zio­ne di que­sta nota sono sta­te uti­liz­za­te le seguen­ti edizioni:
Marx, K. (1975), Il diciot­to bru­ma­io di Lui­gi Bona­par­te, Bue­nos Aires, Anteo.
Marx, K. (1985). Mani­fe­sto del Con­si­glio Gene­ra­le dell’Associazione Inter­na­zio­na­le dei Lavo­ra­to­ri sul­la guer­ra civi­le in Fran­cia nel 1871. Inclu­so in: Marx, K.; Engels, F.; Lenin, V.I., (1985). La comu­ne di Pari­gi, Madrid, Akal, pp. 7‑76.
Marx, K. e Engels, F. (1985), L’ideologia tede­sca, Bue­nos Aires, Pue­blos Uni­dos y Cartago.
Marx, K. e Engels, F. (1986), Mani­fe­sto del par­ti­to comu­ni­sta, Bue­nos Aires, Anteo.
Rubel, M. e Jano­ver, L. (2010). Marx anar­chi­co, Bue­nos Aires, Madreselva.


[*] Ariel Mayo, stu­dio­so mar­xi­sta, inse­gna all’U­ni­ver­si­tà Nazio­na­le di San Mar­tín (Unsam) e all’I­sti­tu­to Supe­rio­re di For­ma­zio­ne Docen­te “Dr. Joa­quín V. González”.

Pez López è stu­den­tes­sa di Filo­so­fia. Mili­tan­te mar­xi­sta e fem­mi­ni­sta, è dedi­ta alla costru­zio­ne di orga­niz­za­zio­ni socia­li­ste non dogmatiche.
Entram­bi vivo­no in Argentina.

 

(Tra­du­zio­ne di Andrea Di Bene­det­to ed Erne­sto Russo)