Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Rivoluzione russa del 1917

La storia dal basso

Scontri al Palazzo d'Inverno (opera dell'artista Ivan Vladimirov)

I nostri let­to­ri ricor­de­ran­no che, lun­go tut­to il 2017, in col­la­bo­ra­zio­ne con la rivi­sta ame­ri­ca­na Jaco­bin Maga­zi­ne, abbia­mo pub­bli­ca­to su que­sto sito, tra­du­cen­do­li in ita­lia­no, i nume­ro­si sag­gi com­me­mo­ra­ti­vi del cen­te­na­rio del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa del 1917, scrit­ti da diver­si dei miglio­ri stu­dio­si inter­na­zio­na­li del tema e facen­ti par­te del­la serie appar­sa in ingle­se su quel­la rivista.
Pur­trop­po, per la limi­ta­tez­za del­le nostre for­ze, non sia­mo riu­sci­ti a tra­dur­re tut­ti que­sti impor­tan­ti sag­gi, ma, fino ad oggi, quat­tor­di­ci di essi sui ven­ti appar­si. In par­ti­co­la­re, non abbia­mo pub­bli­ca­to quel­lo che chiu­de­va ideal­men­te la serie, e cioè la mono­gra­fia di Neil David­son sul più impor­tan­te lavo­ro di rico­stru­zio­ne sto­ri­ca del pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio rus­so che, tra il feb­bra­io e l’ottobre del 1917, por­tò per la pri­ma vol­ta la clas­se ope­ra­ia al pote­re: la Sto­ria del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa di León Trotsky.
Malau­gu­ra­ta­men­te, il 3 mag­gio scor­so, Neil David­son è pre­ma­tu­ra­men­te scom­par­so. Per ricor­dar­lo, rime­dia­mo alla nostra man­can­za con la tra­du­zio­ne e pub­bli­ca­zio­ne in ita­lia­no su que­sto sito del suo impor­tan­te studio.
Buo­na lettura.
La redazione

La storia dal basso

La Storia della Rivoluzione russa resta un’opera unica nel panorama della storiografia marxista

Neil David­son [*]

 

Men­tre que­sta serie di arti­co­li che abbia­mo pub­bli­ca­to per com­me­mo­ra­re la Rivo­lu­zio­ne rus­sa vol­ge al ter­mi­ne, dob­bia­mo pren­de­re in con­si­de­ra­zio­ne il più avvin­cen­te reso­con­to di quel momen­to. Scrit­ta da uno dei suoi prin­ci­pa­li pro­ta­go­ni­sti, la Sto­ria del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa di León Tro­tsky fu com­ple­ta­ta nel 1930, quan­do Tro­tsky era da poco sta­to esi­lia­to dal­la Rus­sia e vive­va in Turchia.
Nono­stan­te la sua lun­ghez­za – l’edizione del 1977 a cui mi rife­ri­sco si esten­de per qua­si 1300 pagi­ne – l’opera si con­cen­tra sul perio­do che va dal feb­bra­io all’ottobre 1917. Ad ecce­zio­ne di sei capi­to­li ini­zia­li, che illu­stra­no la cor­ni­ce teo­ri­ca e il con­te­sto sto­ri­co del libro, e sei appen­di­ci di con­fu­ta­zio­ni di rico­stru­zio­ni del­lo sta­li­ni­smo, ogni volu­me trat­ta solo un inter­val­lo di mesi[1]. Il pri­mo volu­me da feb­bra­io a giu­gno, il secon­do da luglio a set­tem­bre e il ter­zo copre il mese di otto­bre, con­clu­den­do­si all’indomani del­la pre­sa di pote­re da par­te dei bol­sce­vi­chi[2].
Nes­sun altro lavo­ro sto­ri­co sull’argomento ha rag­giun­to que­sto gra­do di pre­ci­sio­ne. Non sor­pren­de che il pri­mo volu­me abbia imme­dia­ta­men­te incon­tra­to cri­ti­che per la sua “pro­lis­si­tà”, alle qua­li Tro­tsky rispo­se nel­la pre­fa­zio­ne al secon­do e ter­zo volume:

«Si può fare la foto­gra­fia di una mano: basta una pagi­na. Ma per espor­re i risul­ta­ti di uno stu­dio micro­sco­pi­co dei tes­su­ti di una mano, occor­re un volu­me. L’autore non si fa illu­sio­ni sul­la com­ple­tez­za e sul carat­te­re defi­ni­ti­vo del­la ricer­ca che ha com­piu­to. Tut­ta­via, in mol­ti casi, ha dovu­to usa­re meto­di pro­pri più del micro­sco­pio che del­la mac­chi­na foto­gra­fi­ca»[3].

L’opera si pre­sen­ta in for­ma di nar­ra­zio­ne, ma Tro­tsky usa il suo “micro­sco­pio” per con­dur­re un’analisi appro­fon­di­ta, met­ten­do occa­sio­nal­men­te in pau­sa lo svi­lup­po del­la sto­ria per affron­ta­re i pro­ble­mi che man mano anda­va­no emer­gen­do. In gene­re, dedi­can­do inte­ri capi­to­li a que­sti temi: ad esem­pio su quel­lo del­la dire­zio­ne (“Gli uomi­ni del­la Rivo­lu­zio­ne di feb­bra­io”); sui pos­si­bi­li esi­ti alter­na­ti­vi (“I bol­sce­vi­chi avreb­be­ro potu­to pren­de­re il pote­re in luglio?”); su situa­zio­ni nuo­ve (“Il dua­li­smo di pote­ri”); su pro­ble­mi anco­ra in sospe­so (“La que­stio­ne nazio­na­le”) e sull’atto stes­so del­la pre­sa del pote­re sta­ta­le (“L’arte dell’insurrezione”). Que­ste appa­ren­ti digres­sio­ni non inter­rom­po­no o distol­go­no dal flus­so del­la sto­ria, ma piut­to­sto arric­chi­sco­no la nostra com­pren­sio­ne degli even­ti pri­ma di ripren­de­re la narrazione.
Un qua­dro teo­ri­co chia­ro sup­por­ta que­ste ana­li­si. In effet­ti, poche ope­re del­la sto­rio­gra­fia mar­xi­sta pre­sen­ta­no un taglio così deci­sa­men­te teo­ri­co come la Sto­ria. E ancor meno testi ini­zia­no intro­du­cen­do un nuo­vo con­cet­to teo­ri­co, come fa Tro­tsky nel pri­mo capitolo.
Se il prin­ci­pa­le con­tri­bu­to stra­te­gi­co di Tro­tsky al mar­xi­smo è sta­to la sua carat­te­ri­sti­ca ver­sio­ne di “rivo­lu­zio­ne per­ma­nen­te”, il suo più impor­tan­te con­tri­bu­to teo­ri­co è sta­to quel­lo del­lo “svi­lup­po disu­gua­le e com­bi­na­to”. Attra­ver­so quest’elaborazione, egli ha volu­to spie­ga­re in manie­ra sem­pli­ce le con­di­zio­ni in cui pote­va aver luo­go la rivo­lu­zio­ne per­ma­nen­te, dap­pri­ma in Rus­sia, poi in altri Pae­si che si tro­va­va­no in con­di­zio­ni simi­li, a par­ti­re dal­la Cina.
Ven­ti­cin­que anni pri­ma, Tro­tsky ave­va soste­nu­to che, seb­be­ne in Rus­sia si fos­se­ro svi­lup­pa­ti rap­por­ti capi­ta­li­sti­ci di pro­du­zio­ne, e anzi stes­se­ro addi­rit­tu­ra diven­tan­do domi­nan­ti, la rivo­lu­zio­ne bor­ghe­se – nel sen­so dell’istituzione di uno Sta­to capi­ta­li­sta – non si era anco­ra veri­fi­ca­ta. L’esistenza di una clas­se ope­ra­ia mili­tan­te face­va sì che la bor­ghe­sia fos­se rilut­tan­te ad avvia­re una rivo­lu­zio­ne per pro­prio con­to, per pau­ra di non riu­sci­re a controllarla.
Ma la clas­se ope­ra­ia avreb­be potu­to rea­liz­za­re la rivo­lu­zio­ne con­tro lo Sta­to pre­ca­pi­ta­li­sta e, alme­no nel­la ver­sio­ne tro­tskia­na di rivo­lu­zio­ne per­ma­nen­te, pas­sa­re diret­ta­men­te alla costru­zio­ne del socia­li­smo, sem­pre che ciò fos­se sta­to par­te di un vit­to­rio­so movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio internazionale.
Tro­tsky ini­zia la sua Sto­ria inda­gan­do lo svi­lup­po disu­gua­le del capi­ta­li­smo in Rus­sia. La con­cor­ren­za mili­ta­re del­le poten­ze occi­den­ta­li ave­va costret­to gli zar a una moder­niz­za­zio­ne par­zia­le. Come egli osser­vò in una con­fe­ren­za[4], «la Gran­de Guer­ra, pro­dot­to del­le con­trad­di­zio­ni dell’imperialismo mon­dia­le, tra­sci­nò nel suo vor­ti­ce Pae­si che si tro­va­va­no in diver­si sta­di di svi­lup­po, ma impo­se a tut­ti i par­te­ci­pan­ti gli stes­si obbli­ghi».

Tro­tsky alla tri­bu­na del­la Con­fe­ren­za di Cope­na­ghen (1932)

Lo Sta­to rus­so gene­rò uno svi­lup­po com­bi­na­to nel­la spe­ran­za di supe­ra­re la sua arre­tra­tez­za, cioè il suo svi­lup­po disu­gua­le. Ma come lo stes­so Tro­tsky scris­se in un sag­gio sul­la Rivo­lu­zio­ne cinese:

«L’arretratezza sto­ri­ca non impli­ca una sem­pli­ce ripro­du­zio­ne del­lo svi­lup­po dei Pae­si avan­za­ti, dell’Inghilterra o del­la Fran­cia, con un ritar­do di uno, due o tre seco­li. Essa pro­du­ce una for­ma­zio­ne socia­le “com­bi­na­ta” com­ple­ta­men­te nuo­va nel­la qua­le le ulti­me con­qui­ste del­la tec­ni­ca e del­la strut­tu­ra capi­ta­li­sti­che affon­da­no le pro­prie radi­ci in rap­por­ti di bar­ba­rie feu­da­le o pre‑feudale, tra­sfor­man­do­li ed assog­get­tan­do­li, e crean­do dei rap­por­ti di clas­se par­ti­co­la­ri»[5].

La sta­bi­li­tà tipi­ca del­le socie­tà feu­da­li o dipen­den­ti si sgre­to­la con l’arrivo dell’industrializzazione capi­ta­li­sta e tut­to ciò che ne con­se­gue: rapi­da cre­sci­ta demo­gra­fi­ca, espan­sio­ne urba­na sfre­na­ta, dram­ma­ti­ci cam­bia­men­ti ideo­lo­gi­ci. Lo svi­lup­po com­bi­na­to signi­fi­ca­va che regio­ni arre­tra­te pote­va­no fare solo pro­gres­si set­to­ria­li in aree spe­ci­fi­che, e non già ripro­dur­re l’esperienza com­ples­si­va del­le eco­no­mie avan­za­te. Nel­la Sto­ria, Tro­tsky sot­to­li­nea la natu­ra par­zia­le di que­ste integrazioni:

«La Rus­sia era tal­men­te in ritar­do rispet­to agli altri Pae­si da esse­re costret­ta, alme­no in cer­ti cam­pi, a supe­rar­li[6]. […] L’assenza di for­me socia­li e di tra­di­zio­ni sta­bi­li fa sì che un Pae­se in ritar­do – alme­no entro cer­ti limi­ti – sia straor­di­na­ria­men­te acces­si­bi­le all’ultimo gri­do del­la tec­ni­ca e del pen­sie­ro mon­dia­le. Ma il ritar­do resta sem­pre ritar­do[7]» [gras­set­to aggiunto].

Tut­ta­via, entro que­sti limi­ti, socie­tà pur arre­tra­te potreb­be­ro rag­giun­ge­re livel­li di svi­lup­po più ele­va­ti rispet­to ai loro riva­li più affer­ma­ti. Tro­tsky continua:

«Men­tre l’agricoltura con­ta­di­na, sino alla rivo­lu­zio­ne, resta­va per lo più qua­si al livel­lo del XVII seco­lo, l’industria rus­sa, per la sua tec­ni­ca e per la sua strut­tu­ra, si tro­va­va al livel­lo dei Pae­si capi­ta­li­sti avan­za­ti, e per cer­ti aspet­ti per­si­no li supe­ra­va»[8] [gras­set­to aggiunto].

Que­ste inte­gra­zio­ni non mina­va­no neces­sa­ria­men­te lo Sta­to, dal momen­to che «un Pae­se arre­tra­to … spes­so peg­gio­ra quel­lo che pren­de a pre­sti­to dall’estero, per adat­tar­lo alla pro­pria cul­tu­ra pri­mi­ti­va»[9]. In effet­ti, alme­no ini­zial­men­te, un “adat­ta­men­to peg­gio­ra­ti­vo” ha con­tri­bui­to a pre­ser­va­re la Rus­sia in uno sta­dio pre‑capitalista.
A par­ti­re dal 1861, lo zari­smo si tro­vò nel­la neces­si­tà di pro­dur­re armi per difen­de­re l’assolutismo feu­da­le, sic­ché creò fab­bri­che usan­do le tec­ni­che carat­te­ri­sti­che del capi­ta­li­smo mono­po­li­sti­co. Ma i lavo­ra­to­ri che ser­vi­va­no per ali­men­ta­re que­sta pro­du­zio­ne minac­cia­va­no lo Sta­to. I lavo­ra­to­ri indu­stria­li costi­tui­va­no un grup­po più abi­le e poli­ti­ca­men­te più con­sa­pe­vo­le rispet­to a qual­sia­si altro in pre­ce­den­za affron­ta­to dal­lo Sta­to asso­lu­ti­sta o inci­pien­te­men­te capitalista.
Lo svi­lup­po disu­gua­le e com­bi­na­to creò in Rus­sia una clas­se ope­ra­ia che pos­se­de­va livel­li ecce­zio­na­li di mili­tan­za rivo­lu­zio­na­ria, ben­ché essa fos­se sol­tan­to una mino­ran­za del­la popo­la­zio­ne. Lo Sta­to non demo­cra­ti­co, che avreb­be dovu­to pre­ser­va­re que­sto “adat­ta­men­to peg­gio­ra­ti­vo” del capi­ta­li­smo, spin­se la clas­se ope­ra­ia a distrug­ger­lo.
Per­tan­to, per Tro­tsky, lo svi­lup­po disu­gua­le e com­bi­na­to ten­den­zial­men­te raf­for­zò l’organizzazione poli­ti­ca e indu­stria­le dei lavo­ra­to­ri, la loro com­pren­sio­ne teo­ri­ca e la loro atti­vi­tà rivo­lu­zio­na­ria. Ciò non garan­ti­va la vit­to­ria – era­no neces­sa­ri un par­ti­to rivo­lu­zio­na­rio con per­spi­ca­cia stra­te­gi­ca e un con­te­sto glo­ba­le in cui le rivo­lu­zio­ni nei Pae­si più avan­za­ti avreb­be­ro potu­to aiu­ta­re la Rus­sia mate­rial­men­te arre­tra­ta – ma era il pun­to di par­ten­za fon­da­men­ta­le, sia per la rivo­lu­zio­ne che per la nar­ra­zio­ne di Trotsky.

Il pri­mo sto­ri­co marxista
Qua­lun­que sia la valu­ta­zio­ne che del­la Sto­ria si voglia dare dopo il “tour de for­ce” del capi­to­lo intro­dut­ti­vo, essa non può pre­scin­de­re da quan­to lo scrit­to sia ori­gi­na­le, anzi sen­za pre­ce­den­ti, all’interno del­la tra­di­zio­ne mar­xi­sta, pro­prio in quan­to ope­ra di sto­ria. È curio­so, dal momen­to che il sino­ni­mo più comu­ne di mar­xi­smo è “mate­ria­li­smo sto­ri­co”, quan­te poche ope­re di sto­rio­gra­fia mar­xi­sta sia­no sta­te effet­ti­va­men­te scrit­te pri­ma del 1930.
Gli scrit­ti di Marx ed Engels dei pri­mi anni del 1850 –  “Le lot­te di clas­se in Fran­cia”, “Rivo­lu­zio­ne e con­tro­ri­vo­lu­zio­ne in Ger­ma­nia”, “Il diciot­to Bru­ma­io di Lui­gi Bona­par­te”, e, più tar­di, la dife­sa di Marx del­la Comu­ne di Pari­gi (“La guer­ra civi­le in Fran­cia”) – sono spes­so cita­ti come ante­si­gna­ni del­la tra­di­zio­ne a cui Tro­tsky ha poi con­tri­bui­to. Ma que­ste non sono ope­re sto­rio­gra­fi­che; sono bril­lan­ti valu­ta­zio­ni gior­na­li­sti­che scrit­te all’indomani degli even­ti. Del­le ope­re di Tro­tsky, for­se quel­la che ad esse asso­mi­glia mag­gior­men­te è 1905, al pari di quel­le segna­ta da una vici­nan­za cro­no­lo­gi­ca all’argomento trat­ta­to e anch’essa scrit­ta in con­di­zio­ni simi­li di scon­fit­ta ed esilio.
Natu­ral­men­te, i fon­da­to­ri del mar­xi­smo sta­va­no for­mu­lan­do una teo­ria del­lo svi­lup­po sto­ri­co e si basa­va­no sem­pre su esem­pi sto­ri­ci per illu­stra­re e con­fer­ma­re i loro argo­men­ti, ma, tra tut­ti i loro lavo­ri, solo La guer­ra dei con­ta­di­ni in Ger­ma­nia (1850) di Engels può esse­re seria­men­te con­si­de­ra­ta un’opera di sto­ria, e ana­liz­za un epi­so­dio occor­so in un pas­sa­to rela­ti­va­men­te distan­te che vie­ne espli­ci­ta­men­te trat­ta­to come un moni­to cir­ca i peri­co­li insi­ti nel ten­ta­ti­vo di pren­de­re il pote­re pri­ma che le con­di­zio­ni sia­no mature.
La situa­zio­ne non cam­biò affat­to con l’avvento del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le nel 1889. In par­te, per­ché, in assen­za di qual­co­sa che asso­mi­glias­se a una rivo­lu­zio­ne pro­le­ta­ria nel perio­do che inter­cor­se tra la Comu­ne di Pari­gi del 1871 e la Rivo­lu­zio­ne rus­sa del 1905, furo­no le rivo­lu­zio­ni bor­ghe­si a diven­ta­re i prin­ci­pa­li temi sto­ri­ci per i mar­xi­sti. Que­sti stu­di ten­de­va­no a rin­ve­ni­re linee di discen­den­za per il pen­sie­ro socia­li­sta con­tem­po­ra­neo, ad esem­pio nel­la Rivo­lu­zio­ne ingle­se, o a sco­pri­re esem­pi di comu­ni­smo nei pre­ce­den­ti movi­men­ti mil­le­na­ri­sti.
Le sto­rie sul­la Rivo­lu­zio­ne fran­ce­se – la più impor­tan­te del­le rivo­lu­zio­ni bor­ghe­si per quan­to riguar­da la par­te­ci­pa­zio­ne di mas­sa – esi­ste­va­no da oltre cen­to anni (le ope­re ini­zia­li di Fran­cois Mignet e Adol­phe Thiers appar­ve­ro negli anni Ven­ti dell’Ottocento), ma fu neces­sa­rio atten­de­re l’inizio del XX seco­lo per la pri­ma rico­stru­zio­ne socia­li­sta, anche se non pro­prio mar­xi­sta, gra­zie all’opera Sto­ria socia­li­sta del­la Rivo­lu­zio­ne fran­ce­se di Jean Jaurès.
In bre­ve, Tro­tsky ave­va pochi model­li mar­xi­sti ai qua­li rife­rir­si. Alme­no for­mal­men­te, quin­di, la Sto­ria asso­mi­glia più ai lavo­ri dei suoi pre­de­ces­so­ri bor­ghe­si del XIX seco­lo. In par­ti­co­la­re, la Sto­ria dell’Inghilterra dall’ascesa di Gia­co­mo VII alla Rivo­lu­zio­ne (1848–1853) di Tho­mas Babing­ton Macau­lay ha una sor­pren­den­te somi­glian­za strut­tu­ra­le con l’opera di Tro­tsky. Ambe­due ini­zia­no con un’ampia pano­ra­mi­ca del­lo svi­lup­po nazio­na­le alla vigi­lia del­la rivo­lu­zio­ne pri­ma di foca­liz­zar­si su un reso­con­to pres­so­ché quo­ti­dia­no; entram­be mostra­no la stes­sa pro­fon­di­tà di carat­te­riz­za­zio­ne degli atto­ri sto­ri­ci; tut­ti e due gli auto­ri inner­va­no le loro ope­re con una pecu­lia­re teo­ria del­la sto­ria. E in effet­ti, il “whig­gi­smo” di Macau­lay è un prin­ci­pio orga­niz­za­ti­vo tan­to impor­tan­te quan­to lo è il mar­xi­smo di Trotsky.
Lo stes­so Marx non ave­va un’opinione mol­to lusin­ghie­ra di Macau­lay, defi­nen­do­lo «un siste­ma­ti­co fal­si­fi­ca­to­re del­la sto­ria»[10], e Tro­tsky era solo lie­ve­men­te più gene­ro­so («Macau­lay bana­liz­za il dram­ma socia­le del seco­lo XVII die­tro for­mu­la­zio­ni gene­ra­li, a vol­te inte­res­san­ti ma sem­pre super­fi­cia­li»[11]). Ma le ana­lo­gie tra le loro sto­rie ci sono lo stesso.
Sti­li­sti­ca­men­te, Tro­tsky ricor­da un altro scoz­ze­se vit­to­ria­no, ben­ché piut­to­sto diver­so da Macau­lay. Nel ter­zo volu­me del­la sua famo­sa bio­gra­fia, Isaac Deu­tscher ripren­de A.L. Row­se con­fron­tan­do Tro­tsky con Tho­mas Car­ly­le[12].
Per quan­to biz­zar­ro pos­sa appa­ri­re al prin­ci­pio, Deu­tscher ha iden­ti­fi­ca­to una vera comu­nan­za tra i due uomi­ni: entram­bi acu­ta­men­te tira­no fuo­ri l’ironia sto­ri­ca, entram­bi respin­go­no il medio­cre regi­stro del­la sto­ria acca­de­mi­ca in favo­re di un lin­guag­gio appro­pria­to agli even­ti che descri­vo­no, ed entram­bi get­ta­no luce sui cam­bia­men­ti nel­la coscien­za col­let­ti­va. Con­fron­tia­mo que­sti passaggi.
Ecco come Car­ly­le descri­ve la svol­ta radi­ca­le del­le mas­se pari­gi­ne duran­te il luglio 1789, il gior­no pri­ma dell’assalto alla Bastiglia:

«Qua­le Pari­gi al cala­re del­la not­te! Una cit­tà metro­po­li­ta­na euro­pea che all’improvviso si scrol­la di dos­so le sue vec­chie com­bi­na­zio­ni e i com­pro­mes­si; per fran­tu­mar­li insie­me tumul­tuo­sa­men­te, men­tre ne ricer­ca di nuo­vi. Non saran­no più gli usi e i costu­mi a diri­ge­re gli uomi­ni; ogni uomo, con la sua pro­pria ori­gi­na­li­tà, deve ini­zia­re a pen­sa­re; o segui­re quel­li che pen­sa­no. Set­te­cen­to­mi­la per­so­ne, di col­po, sco­pro­no che tut­ti i loro anti­chi sen­tie­ri, i vec­chi modi di agi­re e di deci­de­re, sva­ni­sco­no da sot­to i loro pie­di … Lune­dì la gran­de cit­tà si è sve­glia­ta, non quel­la dei gior­ni lavo­ra­ti­vi: ma una diver­sa! L’operaio è diven­ta­to un com­bat­ten­te; vuo­le una cosa sola: le armi».

Ed ecco Tro­tsky nel pri­mo e nel secon­do gior­no del­la Rivo­lu­zio­ne di febbraio:

«Una fol­la di don­ne, non tut­te ope­ra­ie, si dires­se ver­so la Duma muni­ci­pa­le per chie­de­re pane. Era come chie­de­re lat­te a un bue. In vari quar­tie­ri com­par­ve­ro ban­die­re ros­se e car­tel­li le cui scrit­te dimo­stra­va­no che i lavo­ra­to­ri esi­ge­va­no pane e non vole­va­no più saper­ne dell’autocrazia e del­la guer­ra. La “gior­na­ta del­la don­na” era riu­sci­ta, era sta­ta pie­na di slan­cio e non ave­va cau­sa­to vit­ti­me. Ma di che cosa fos­se gra­vi­da, in sera­ta nes­su­no anco­ra sospet­ta­va. All’indomani, il movi­men­to, lun­gi dal cal­mar­si, rad­dop­pia di ener­gia: cir­ca la metà degli ope­rai indu­stria­li di Pie­tro­gra­do sono in scio­pe­ro il 24 feb­bra­io. Sin dal mat­ti­no gli ope­rai si pre­sen­ta­no nel­le fab­bri­che e, inve­ce di met­ter­si al lavo­ro, ten­go­no comi­zi, e suc­ces­si­va­men­te si diri­go­no ver­so il cen­tro del­la cit­tà. Nuo­vi quar­tie­ri, nuo­vi set­to­ri del­la popo­la­zio­ne ven­go­no tra­sci­na­ti nel movi­men­to. La paro­la d’ordine: “Pane!” è lascia­ta cade­re o è sof­fo­ca­ta da altre: “Abbas­so l’autocrazia!” “Abbas­so la guer­ra!”»[13].

Lo sti­le di Tro­tsky è acces­si­bi­le, al con­tra­rio degli sti­li­smi baroc­chi di Car­ly­le. Non­di­me­no, entram­bi han­no in modo evi­den­te lo stes­so approc­cio alla scrit­tu­ra sto­ri­ca, ben diver­so dai lavo­ri di quel­li che Car­ly­le chia­ma “Pro­fes­so­ri Drya­sdu­st”[14], che ai suoi tem­pi ini­zia­va­no a domi­na­re la storiografia.
Per­ry Ander­son descri­ve giu­sta­men­te Tro­tsky come “il pri­mo gran­de sto­ri­co mar­xi­sta” e osser­va che «per lun­go tem­po la Sto­ria del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa è rima­sta uni­ca nel­la let­te­ra­tu­ra del mate­ria­li­smo sto­ri­co».

In ter­za persona
Non solo! L’opera resta ecce­zio­na­le avu­to riguar­do agli stan­dard del­la sto­rio­gra­fia mar­xi­sta. Per­ché? Soprat­tut­to a cau­sa del ruo­lo che Tro­tsky svol­se nel pro­ces­so che descrive.
I per­so­nag­gi poli­ti­ci di epo­che pre­ce­den­ti spes­so han­no lascia­to memo­rie del loro coin­vol­gi­men­to in even­ti rivo­lu­zio­na­ri: pen­sia­mo al rac­con­to di Ale­xis de Toc­que­vil­le sul­la Rivo­lu­zio­ne fran­ce­se del 1848–1849. Ma una del­le con­se­guen­ze del­le scon­fit­te del­le rivo­lu­zio­ni socia­li­ste dopo il 1917 – seb­be­ne non la più impor­tan­te rispet­to inve­ce alla con­ti­nua­zio­ne del­lo sfrut­ta­men­to, dell’oppressione e del­la guer­ra impe­ria­li­sta – è che ci sono sta­ti ben pochi sto­ri­ci che vi han­no diret­ta­men­te par­te­ci­pa­to per regi­strar­le. Tro­tsky non ha suc­ces­so­ri per­ché la sua tema­ti­ca rima­ne unica.
Ci sono sta­te, natu­ral­men­te, mol­te mono­gra­fie degli even­ti sul e intor­no al 1917. Quan­do Tro­tsky scris­se il suo libro, pote­va acce­de­re ai rac­con­ti di pri­ma mano di avver­sa­ri men­sce­vi­chi come Niko­lai Sukha­nov, com­pa­gni bol­sce­vi­chi come Ale­xan­der Shlyap­ni­kov e sim­pa­tiz­zan­ti stra­nie­ri che era­no sta­ti pre­sen­ti a Pie­tro­gra­do come John Reed.

John Reed

Il reso­con­to di quest’ultimo[15] è sta­to par­ti­co­lar­men­te uti­le per i pro­po­si­ti di Tro­tsky, dal momen­to che Lenin l’aveva rac­co­man­da­to, il movi­men­to comu­ni­sta l’aveva ampia­men­te let­to, e da esso emer­ge­va il ruo­lo di Tro­tsky nel momen­to in cui la buro­cra­zia sta­li­ni­sta cer­ca­va di negar­lo. Ma que­ste ope­re, e le mol­te altre cita­te da Tro­tsky, riguar­da­no prin­ci­pal­men­te le espe­rien­ze o le osser­va­zio­ni per­so­na­li dei loro auto­ri: non ten­ta­no di rico­strui­re il pro­ces­so nel suo insieme.
For­se l’unica ope­ra che, in que­sto sen­so, asso­mi­glia in una cer­ta misu­ra alla Sto­ria di Tro­tsky è la Histoi­re de la Com­mu­ne de 1871, scrit­ta nel 1876 da Prosper‑Olivier Lis­sa­ga­ray, che ave­va com­bat­tu­to sul­le bar­ri­ca­te e fu per­ciò costret­to ad anda­re in esi­lio. Ma, come lui stes­so dichia­rò, Lis­sa­ga­ray non era cer­to «né mem­bro, né uffi­cia­le, né fun­zio­na­rio del­la Comu­ne».
Tro­tsky, al con­tra­rio, appar­te­ne­va al Comi­ta­to cen­tra­le bol­sce­vi­co, ave­va rico­per­to il ruo­lo di pre­si­den­te del Soviet di Pie­tro­gra­do ed era il prin­ci­pa­le respon­sa­bi­le dell’effettivo avvio dell’insurrezione da par­te del Comi­ta­to mili­ta­re rivoluzionario.
Ma le loro ope­re sono simi­li anche sot­to un altro aspet­to. Lis­sa­ga­ray ha descrit­to se stes­so come qual­cu­no che «per cin­que anni ha vaglia­to ogni ele­men­to; che non si è avven­tu­ra­to a fare una sola affer­ma­zio­ne sen­za aver accu­mu­la­to pro­ve». Egli rea­liz­zò quell’indagine in par­te per impe­di­re che il suo lavo­ro venis­se respin­to a cau­sa di erro­ri indi­vi­dua­li, ma soprat­tut­to per­ché la clas­se ope­ra­ia ha biso­gno e meri­ta la veri­tà: «Chi rac­con­ta alle per­so­ne leg­gen­de rivo­lu­zio­na­rie, chi le diver­te intrat­te­nen­do­le con sto­rie sen­sa­zio­na­li, è cri­mi­na­le come il geo­gra­fo che dise­gna car­te fal­se per i navi­gan­ti».
Anche se Tro­tsky par­te­ci­pò in pri­ma per­so­na ad avve­ni­men­ti deci­si­vi del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa, ha effet­ti­va­men­te adot­ta­to lo stes­so approc­cio, rifiu­tan­do di basa­re il suo reso­con­to sui suoi ricor­di e impressioni:

«Quest’opera non è affat­to basa­ta su ricor­di per­so­na­li. La cir­co­stan­za che l’autore abbia par­te­ci­pa­to agli avve­ni­men­ti non lo ha dispen­sa­to dal dove­re di sta­bi­li­re il suo rac­con­to su docu­men­ti rigo­ro­sa­men­te con­trol­la­ti. L’autore par­la di se stes­so, nel­la misu­ra in cui vi è costret­to dal cor­so degli avve­ni­men­ti, in “ter­za per­so­na”. E non si trat­ta sem­pli­ce­men­te di una for­ma let­te­ra­ria: il tono sog­get­ti­vo, ine­vi­ta­bi­le in un’autobiografia o in memo­rie, sareb­be inam­mis­si­bi­le in uno stu­dio sto­ri­co. Tut­ta­via, dato che l’autore ha par­te­ci­pa­to alla lot­ta, gli è più faci­le com­pren­de­re non solo la psi­co­lo­gia degli atto­ri, indi­vi­dui sin­go­li o col­let­ti­vi­tà, ma anche l’intima cor­re­la­zio­ne degli avve­ni­men­ti»[16].

Col rife­rir­si a se stes­so in ter­za per­so­na Tro­tsky distin­gue il pro­prio ruo­lo di auto­re da quel­lo di atto­re, un effet­to che segna il testo come non solo moder­no ma come un’opera di moder­ni­smo let­te­ra­rio, al pari del Mani­fe­sto del Par­ti­to Comu­ni­sta, di Sto­ria e coscien­za di clas­se di Györ­gy Lukács e di Sul con­cet­to di sto­ria di Wal­ter Benjamin.
Ma non dovrem­mo pren­de­re Tro­tsky com­ple­ta­men­te in paro­la. Egli trae del­le cita­zio­ni dal suo scrit­to su Lenin del 1924[17], che rap­pre­sen­ta, appun­to, un’opera di “ricor­di per­so­na­li”: i qua­li, però, non cam­bia­no il pro­prio sta­tus sol per­ché cita­ti come pro­ve. E, di tan­to in tan­to, il let­to­re deve inter­ro­gar­si sul pote­re del­la memo­ria dell’autore quan­do appa­ren­te­men­te egli ripor­ta con­tri­bu­ti ai dibat­ti­ti o per­si­no discor­si sen­za un chia­ro rife­ri­men­to a una qual­sia­si trac­cia scrit­ta. La Sto­ria non è dota­ta di un appa­ra­to acca­de­mi­co for­ma­le, ma in gene­re Tro­tsky elen­ca le sue fon­ti nel testo: nei rari casi in cui non lo fa, si può imma­gi­na­re che si stia dav­ve­ro basan­do sul­la pro­pria memoria.
Tut­ta­via, in gene­re cita docu­men­ti stam­pa­ti o ine­di­ti. In que­sto con­te­sto, vale la pena con­trap­por­re Tro­tsky a uno degli altri auto­ri a cui Deu­tscher lo ha para­go­na­to, Win­ston Chur­chill, in par­ti­co­la­re rife­ren­do­ci alla sua sto­ria del­la Secon­da guer­ra mondiale.
Il para­go­ne è legit­ti­mo, dato che anche Chur­chill ha svol­to un ruo­lo poli­ti­co impor­tan­te negli even­ti di cui par­la e pos­se­de­va una spic­ca­ta visio­ne del mon­do, ben­ché mol­to diver­sa. Ma Chur­chill basa espres­sa­men­te il suo rac­con­to sul pro­prio pun­to di vista e spes­so descri­ve even­ti sen­za alcu­na pro­va a soste­gno, in par­ti­co­la­re il fami­ge­ra­to epi­so­dio in cui lui e Sta­lin sta­bi­li­ro­no in che modo i loro rispet­ti­vi Sta­ti avreb­be­ro eser­ci­ta­to influen­za sull’Europa orien­ta­le e sui Bal­ca­ni dopo la guerra.
Il pun­to non è che que­sto epi­so­dio è sta­to rife­ri­to in manie­ra ine­sat­ta – anzi, esso mostra pre­ci­sa­men­te il tipo di spar­ti­zio­ne anti­de­mo­cra­ti­ca su cui que­sti due cri­mi­na­li si sareb­be­ro accor­da­ti, rive­lan­do al di là del­le inten­zio­ni di Chur­chill le sue illu­sio­ni sull’estensione del pote­re bri­tan­ni­co nel dopo­guer­ra – ma ren­de evi­den­te un ben diver­so approc­cio rispet­to a quel­lo di Tro­tsky, che è mol­to più rispet­to­so del­le nor­me acca­de­mi­che in tema di uso del­le prove.
Alcu­ni cri­ti­ci han­no sot­to­li­nea­to che Tro­tsky cita del­le fon­ti che in altri pas­sag­gi cri­ti­ca defi­nen­do­le impre­ci­se o ine­sat­te. Ma di soli­to Tro­tsky spie­ga per­ché si basa o meno su un deter­mi­na­to autore.
Ad esem­pio, uti­liz­za il reso­con­to di Reed su come Lenin abbia ini­zia­to il suo rap­por­to al Secon­do Con­gres­so pan‑russo dei Soviet: «E ora occu­pia­mo­ci di costrui­re l’ordine socia­li­sta». Ma spie­ga anche che non sono rima­sti ver­ba­li del Con­gres­so, ben­sì solo reso­con­ti gior­na­li­sti­ci “ten­den­zio­si”: «La fra­se intro­dut­ti­va che John Reed met­te in boc­ca a Lenin non è ripor­ta­ta in nes­sun reso­con­to gior­na­li­sti­co. Ma è com­ple­ta­men­te nel­lo spi­ri­to di Lenin. Reed non pote­va inven­tar­la»[18]. Più avan­ti, spie­ga come Reed potreb­be aver idea­to una “sto­ri­ca secon­da con­fe­ren­za” del tut­to imma­gi­na­ria il 21 ottobre:

«Reed era un osser­va­to­re straor­di­na­ria­men­te atten­to, capa­ce di tra­scri­ve­re nel­le pagi­ne del suo libro i sen­ti­men­ti e le pas­sio­ni dei gior­ni deci­si­vi del­la rivo­lu­zio­ne […] con­ver­sa­zio­ni e fra­si fram­men­ta­rie cat­tu­ra­te al volo, e che avreb­be­ro comun­que richie­sto un tra­dut­to­re: tut­te que­ste cose han­no reso ine­vi­ta­bi­li alcu­ni erro­ri spe­ci­fi­ci»[19].

Anche se Tro­tsky può cita­re le sue fon­ti e distin­guer­le tra loro, ciò non signi­fi­ca che ne fac­cia un uti­liz­zo affi­da­bi­le. Il libro è un’opera di par­te sot­to due aspetti.
Innan­zi­tut­to, ovvia­men­te, Tro­tsky face­va par­te del movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio, in cui ave­va avu­to un ruo­lo di dire­zio­ne. Di fat­to, egli respin­ge espres­sa­men­te ciò che Max Weber ave­va già ini­zia­to a pro­muo­ve­re come scien­za socia­le “ogget­ti­va”. Come sot­to­li­nea Tro­tsky, la sua evi­den­te par­zia­li­tà non pri­va il suo lavo­ro di valo­re scientifico:

«Il let­to­re serio e dota­to di spi­ri­to cri­ti­co non ha biso­gno di una ingan­ne­vo­le impar­zia­li­tà […] ma gli occor­re la buo­na fede scien­ti­fi­ca che, per espri­me­re le pro­prie sim­pa­tie e anti­pa­tie, fran­ca­men­te e sen­za masche­ra­tu­re, cer­ca di fon­dar­si su uno stu­dio one­sto dei fat­ti, sul­la dimo­stra­zio­ne dei rap­por­ti rea­li tra i fat­ti, sul­la indi­vi­dua­zio­ne di quan­to nel­lo svol­gi­men­to dei fat­ti vi è di razio­na­le»[20].

Tro­tsky ope­ra una distin­zio­ne tra neu­tra­li­tà, una cosa impos­si­bi­le per chiun­que non sia com­ple­ta­men­te pri­vo di opi­nio­ni poli­ti­che, e obiet­ti­vi­tà, una neces­si­tà per chiun­que non voglia limi­tar­si al ruo­lo di propagandista.

Tro­tsky nel giar­di­no bota­ni­co di Sukhum-Kale (attua­le Sukhumi)

Ma Tro­tsky è di par­te in un altro sen­so. Egli ave­va una par­ti­co­la­re inter­pre­ta­zio­ne di come la rivo­lu­zio­ne aves­se vin­to, di qua­li grup­pi socia­li e sin­go­li par­te­ci­pan­ti ne fos­se­ro sta­ti gli atto­ri e del­la rela­zio­ne tra essi. In que­sto sen­so, il suo inten­to era quel­lo di scre­di­ta­re le pre­te­se del regi­me sta­li­ni­sta, che vede­va il pas­sa­to come mate­ria grez­za da model­la­re e rimo­del­la­re per sod­di­sfa­re le esi­gen­ze poli­ti­che del pre­sen­te. Come ebbe a scri­ve­re, «il burocrate‑storico», inca­ri­ca­to di scri­ve­re le “leg­gen­de del­la buro­cra­zia”, «rifà la sto­ria, cor­reg­ge bio­gra­fie, crea fal­se repu­ta­zio­ni. È sta­to neces­sa­rio buro­cra­tiz­za­re la rivo­lu­zio­ne pri­ma che Sta­lin potes­se diven­tar­ne il coro­na­men­to»[21].
Sareb­be un erro­re pre­ten­de­re che la par­ti­gia­ne­ria in que­sto secon­do sen­so di Tro­tsky non abbia pro­dot­to distor­sio­ni. La sua neces­si­tà di met­te­re le cose in chia­ro lo ha por­ta­va in qual­che caso a esa­ge­ra­re le dif­fe­ren­ze tra Lenin e pra­ti­ca­men­te tut­ti gli altri nel Par­ti­to bol­sce­vi­co, soprat­tut­to Stalin.
La dif­fi­col­tà qui non è la sua enfa­si sul ruo­lo deci­si­vo di Lenin. In due capi­to­li cru­cia­li (“Il riar­mo del par­ti­to” e “Lenin lan­cia l’appello all’insurrezione”), Tro­tsky sostie­ne che sen­za l’arrivo di Lenin nell’aprile 1917 e la sua insi­sten­za nel pren­de­re il pote­re duran­te tut­to il mese di set­tem­bre, la Rivo­lu­zio­ne di otto­bre non avreb­be avu­to luogo:

«La cri­si che la dire­zio­ne oppor­tu­ni­sta dove­va ine­vi­ta­bil­men­te pro­vo­ca­re, sen­za Lenin avreb­be assun­to un carat­te­re ecce­zio­nal­men­te acu­to e pro­lun­ga­to, men­tre le con­di­zio­ni del­la guer­ra e del­la rivo­lu­zio­ne non lascia­va­no al par­ti­to mol­to tem­po per l’assolvimento del suo com­pi­to. Così non è affat­to da esclu­de­re che il par­ti­to diso­rien­ta­to e scis­so avreb­be potu­to lasciar­si sfug­gi­re l’occasione rivo­lu­zio­na­ria favo­re­vo­le per mol­ti anni»[22].

Tro­tsky non sta dicen­do che i bol­sce­vi­chi non sareb­be­ro mai arri­va­ti alla stra­te­gia cor­ret­ta sen­za Lenin, o che l’opportunità rivo­lu­zio­na­ria non sareb­be mai più tor­na­ta. Segna­la sem­pli­ce­men­te che il tem­po è essen­zia­le nel­le situa­zio­ni rivo­lu­zio­na­rie e che, sen­za Lenin, il par­ti­to lo avreb­be fat­to trascorrere.
La rifles­sio­ne di Tro­tsky sul­le sin­go­le figu­re è in linea con i clas­si­ci prin­ci­pi mar­xi­sti riguar­do alle per­so­ne che fan­no la sto­ria in con­di­zio­ni che non ven­go­no scel­te da loro, e dimo­stra anche che la misu­ra in cui esse pos­so­no cam­bia­re la sto­ria è il risul­ta­to di un pro­ces­so storico.
Pren­dia­mo ad esem­pio lo zar Nico­la II, l’ultimo rap­pre­sen­tan­te di un siste­ma con­dan­na­to a scom­pa­ri­re e uno dei per­so­nag­gi i cui dilem­mi ricor­ro­no in tut­ti i pri­mi capi­to­li del­la Sto­ria:

«In sezio­ne oriz­zon­ta­le, nel­la sto­ria del­la monar­chia, Nico­la era l’ultimo anel­lo di una cate­na dina­sti­ca. I suoi pre­de­ces­so­ri più pros­si­mi, che pure ave­va­no appar­te­nu­to a una col­let­ti­vi­tà di fami­glia, di casta, di buro­cra­zia, anche se più este­sa, ave­va­no cer­ca­to di pren­de­re varie misu­re, di adot­ta­re vari meto­di di gover­no per difen­de­re il vec­chio regi­me socia­le con­tro il desti­no che lo minac­cia­va e tut­ta­via ave­va­no lascia­to in ere­di­tà a Nico­la II un impe­ro cao­ti­co, che già por­ta­va in grem­bo la rivo­lu­zio­ne. Se Nico­la aves­se avu­to una scel­ta, si sareb­be trat­ta­to di una scel­ta tra diver­se stra­de ver­so la rovi­na»[23].

Lenin ave­va mag­gio­ri spa­zi di mano­vra, poi­ché rap­pre­sen­ta­va una clas­se che ave­va la pos­si­bi­li­tà di pren­de­re il pote­re piut­to­sto che, impo­ten­te, guar­dar­lo pas­sa­re. Ma anche Lenin era sta­to model­la­to dal­lo svi­lup­po russo:

«L’involucro ester­no degli avve­ni­men­ti con­tri­bui­va mol­to in que­sto caso a una mec­ca­ni­ca con­trap­po­si­zio­ne del sin­go­lo indi­vi­duo, dell’eroe, del genio, alle con­di­zio­ni obiet­ti­ve, alla mas­sa, al par­ti­to. In real­tà, un’antitesi del gene­re mostra sol­tan­to un aspet­to del­le cose. Lenin non era un ele­men­to for­tui­to dell’evoluzione sto­ri­ca, ma un pro­dot­to di tut­to il pas­sa­to del­la sto­ria rus­sa. Era col­le­ga­to a que­sta sto­ria con le radi­ci più pro­fon­de. Assie­me agli ope­rai avan­za­ti, ave­va par­te­ci­pa­to a tut­te le lot­te del quar­to di seco­lo pre­ce­den­te»[24].

Esi­ste tut­ta­via un pro­ble­ma con quan­to Tro­tsky dice a pro­po­si­to di Lenin: in diver­si pas­sag­gi, Tro­tsky sostie­ne che il Par­ti­to bol­sce­vi­co è sta­to essen­zia­le per il suc­ces­so del­la rivo­lu­zio­ne e che par­ti­ti rivo­lu­zio­na­ri con un ruo­lo diri­gen­te sono una con­di­zio­ne neces­sa­ria per tut­te le futu­re rivo­lu­zio­ni. Tut­ta­via, la sua rap­pre­sen­ta­zio­ne dei bol­sce­vi­chi – o, quan­to­me­no, del­la loro dire­zio­ne – indi­ca che in sva­ria­te occa­sio­ni essi erra­ro­no nel com­pren­de­re la situa­zio­ne, con­ser­van­do sche­mi pre­e­si­sten­ti ma irri­le­van­ti, e matu­ra­ro­no del­le vere e pro­prie svol­te a destra.
Tro­tsky sostie­ne che ciò avreb­be com­por­ta­to meno pro­ble­mi se Lenin non fos­se sta­to costret­to all’esilio:

«Il suo disac­cor­do con lo stra­to diri­gen­te dei bol­sce­vi­chi ave­va il signi­fi­ca­to di una lot­ta tra il pas­sa­to e il futu­ro del par­ti­to. Se Lenin non fos­se sta­to arti­fi­cial­men­te tenu­to lon­ta­no dal par­ti­to a cau­sa dell’emigrazione e del­la guer­ra, il mec­ca­ni­smo ester­no del­la cri­si non sareb­be sta­to così dram­ma­ti­co e non avreb­be masche­ra­to a tal pun­to la con­ti­nui­tà intrin­se­ca del­lo svi­lup­po del par­ti­to»[25].

Ciò equi­va­le a dire che il par­ti­to avreb­be comun­que com­mes­so degli erro­ri, ma Lenin avreb­be potu­to cor­reg­ger­li più facil­men­te. Altro­ve Tro­tsky attri­bui­sce alla “pres­sio­ne degli ope­rai dal bas­so”, al di là del­le “cri­ti­che di Lenin dall’alto”, il meri­to di aver cor­ret­to gli erro­ri dei bol­sce­vi­chi. Un par­ti­to che richie­de una perio­di­ca cor­re­zio­ne di linea non è chia­ra­men­te una “avan­guar­dia” in ogni sen­so. Ciò costi­tui­sce una del­le rare occa­sio­ni in cui il desi­de­rio di Tro­tsky di inde­bo­li­re spe­ci­fi­che mito­lo­gie sta­li­ni­ste mina di fat­to le sue stes­se argo­men­ta­zio­ni sul ruo­lo del par­ti­to rivoluzionario.
Ben­ché la Sto­ria del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa sia un’opera poli­ti­ca­men­te impe­gna­ta, la ricer­ca recen­te con­fer­ma la mag­gior par­te – se non addi­rit­tu­ra tut­te – del­le valu­ta­zio­ni e inter­pre­ta­zio­ni di Tro­tsky. Per­si­no bio­gra­fi pro­fon­da­men­te osti­li, come Robert Ser­vi­ce, devo­no rico­no­sce­re che «rara­men­te egli è sta­to accu­sa­to di ine­sat­tez­za». Ian That­cher, un altro recen­te bio­gra­fo che non può esse­re accu­sa­to di sim­pa­tie ver­so il tro­tski­smo o, più in gene­ra­le, il mar­xi­smo, è anda­to oltre, sug­ge­ren­do che la Sto­ria ha più che resi­sti­to alla recen­te ricer­ca e ha per­si­no con­ti­nua­to a sug­ge­ri­re nuo­ve aree di indagine:

«La sin­te­si dei fat­to­ri che Tro­tsky ha dovu­to evi­den­zia­re per spie­ga­re il 1917 costi­tui­sce ancor oggi il nostro pro­gram­ma di ricer­ca del­la Rivo­lu­zio­ne Rus­sa. […] Rap­por­ta­ta alla Sto­ria del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa, la mag­gior par­te del­le ricer­che “moder­ne” non sem­bra­no dopo tut­to così “moder­ne”».

Que­sto è un giu­di­zio straor­di­na­rio per un libro scrit­to ottan­ta­cin­que anni fa: le per­so­ne ten­do­no a leg­ge­re la Sto­ria d’Inghilterra di Macau­lay o La rivo­lu­zio­ne fran­ce­se di Car­ly­le per le loro qua­li­tà let­te­ra­rie o per quel che esse ci dico­no sul­le posi­zio­ni ideo­lo­gi­che dei loro auto­ri, non per­ché ci aiu­ti­no a capi­re il 1688 o il 1789. Pos­sia­mo anche leg­ge­re la Sto­ria di Tro­tsky in quest’ottica, ma essa con­ser­va pur sem­pre un posto impor­tan­te in qual­sia­si biblio­gra­fia seria del 1917.

Di cer­to, oggi sap­pia­mo di più sul­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa rispet­to a quan­to chiun­que potes­se saper­ne nel 1930, non da ulti­mo gra­zie al vali­do lavo­ro dei suoi sto­ri­ci socia­li “revi­sio­ni­sti” dal­la fine degli anni 60 in avan­ti. Ma essi han­no inte­gra­to piut­to­sto che sosti­tui­to il libro di Tro­tsky. Con­di­vi­den­do l’interesse dei revi­sio­ni­sti per la sto­ria dal bas­so, Tro­tsky rico­no­sce la neces­si­tà di bilan­ciar­la con la sto­ria dall’alto. Ugual­men­te inten­zio­na­to a spie­ga­re le strut­tu­re del­la socie­tà rus­sa, le col­lo­ca all’interno di un siste­ma glo­ba­le che influi­sce sul­le sue for­me e le modella.
Quest’ultimo aspet­to ci ripor­ta al pun­to di par­ten­za di Tro­tsky. E al nostro: lo svi­lup­po disu­gua­le e combinato.

Sto­ria viva
Nel­la pri­ma pagi­na del­la Sto­ria, Tro­tsky spie­ga uno dei suoi postu­la­ti guida:

«La carat­te­ri­sti­ca più incon­te­sta­bi­le del­la rivo­lu­zio­ne è l’intervento diret­to del­le mas­se negli avve­ni­men­ti sto­ri­ci. […] La sto­ria del­la rivo­lu­zio­ne è per noi, innan­zi­tut­to, la sto­ria dell’irrompere vio­len­to del­le mas­se sul ter­re­no dove si deci­do­no le loro sor­ti»[26].

Come carat­te­riz­za­zio­ne gene­ra­le del­le rivo­lu­zio­ni non pare ade­gua­ta: la mag­gior par­te del­le rivo­lu­zio­ni bor­ghe­si avve­nu­te dopo il 1848 furo­no con­dot­te dall’alto pro­prio per pre­ve­ni­re “l’irrompere del­le mas­se”. È, tut­ta­via, un’eccellente carat­te­riz­za­zio­ne del­la rivo­lu­zio­ne socia­li­sta, e che dob­bia­mo urgen­te­men­te riaffermare.
Le nostre com­me­mo­ra­zio­ni del 1917 non pos­so­no esi­mer­ci dall’approfondire la cono­scen­za di ciò che ne seguì, con tut­to il suo cari­co d’orrore che non era anco­ra evi­den­te quan­do Tro­tsky scris­se la sua Sto­ria. La con­tro­ri­vo­lu­zio­ne sta­li­ni­sta del 1928 e i regi­mi che suc­ces­si­va­men­te l’hanno assun­ta come model­lo sono alme­no in par­te respon­sa­bi­li del­la dif­fi­den­za con cui pro­prio colo­ro che avreb­be­ro più da gua­da­gna­re dal socia­li­smo guar­da­no alle sue idee.
Ci sono mol­te ragio­ni per rac­co­man­da­re a un vasto pub­bli­co di leg­ge­re la Sto­ria del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa, ma for­se la più impor­tan­te è che essa descri­ve la crea­ti­vi­tà e la for­za del­la clas­se ope­ra­ia come la vera base del socia­li­smo. Pos­sia­mo spe­ra­re che, per il bicen­te­na­rio che ver­rà, il libro di Tro­tsky non occu­pe­rà più solo un posti­ci­no nel­le nostre libre­rie per­ché il 1917 sarà sta­to segui­to da altre rivo­lu­zio­ni socia­li­ste che avran­no richie­sto i pro­pri storiografi.

(Tra­du­zio­ne di Vale­rio Torre)


Note (tut­te le note sono del traduttore)

[1] In pro­po­si­to, è signi­fi­ca­ti­va l’affermazione di Tro­tsky nell’intervista con­ces­sa a B.J. Field e pub­bli­ca­ta il 15 apri­le 1933 sul n. 23 del set­ti­ma­na­le del­la Com­mu­ni­st Lea­gue of Ame­ri­ca, The Mili­tant, p. 4: «Nell’appendice del­la mia Sto­ria del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa ho for­ni­to uno stu­dio det­ta­glia­to e docu­men­ta­to del­le idee del par­ti­to bol­sce­vi­co sul­la rivo­lu­zio­ne d’ottobre. Spe­ro che que­sto stu­dio ren­da impos­si­bi­le in futu­ro attri­bui­re a Lenin la teo­ria del socia­li­smo in un Pae­se solo».
[2] L’edizione ita­lia­na a cui inve­ce fac­cia­mo rife­ri­men­to nel­le note che seguo­no è quel­la in due volu­mi (1268 pagi­ne) edi­ta da Mon­da­do­ri nel­la tra­du­zio­ne di Livio Mai­tan (L. Tro­tsky, Sto­ria del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa, Arnol­do Mon­da­do­ri edi­to­re, 1978). Recen­te­men­te, nel 2017, l’opera, sem­pre in due volu­mi (1407 pagi­ne) è sta­ta ripub­bli­ca­ta per i tipi di Edi­zio­ni Ale­gre, con pre­fa­zio­ne di Enzo Traverso.
[3] L. Tro­tsky, op. cit., vol. 2, p. 526.
[4] Si trat­ta del­la con­fe­ren­za che Tro­tsky fu invi­ta­to a tene­re a Cope­na­ghen nel novem­bre del 1932.
[5] In real­tà, il sag­gio di Tro­tsky indi­ca­to nel testo rap­pre­sen­ta­va la pre­fa­zio­ne al libro del mili­tan­te tro­tski­sta sta­tu­ni­ten­se Harold R. Isaacs, The Tra­ge­dy of the Chi­ne­se Revo­lu­tion, pub­bli­ca­to nel 1938. Tut­ta­via, dopo aver rot­to con il mar­xi­smo rivo­lu­zio­na­rio, Isaacs modi­fi­cò in par­te il suo scrit­to, eli­mi­nan­do l’introduzione di Tro­tsky, che infat­ti non è pre­sen­te nel­le edi­zio­ni suc­ces­si­ve in lin­gua ingle­se, così come in quel­le ita­lia­ne pub­bli­ca­te nel 1967 e nel 1973 dal­la casa edi­tri­ce Il Sag­gia­to­re. La tra­du­zio­ne in ita­lia­no del­la pre­fa­zio­ne di Tro­tsky è sta­ta effet­tua­ta da Pao­lo Cascio­la con il tito­lo “Rivo­lu­zio­ne e guer­ra in Cina” e pub­bli­ca­ta nel­la col­la­na Qua­der­ni del Cen­tro Stu­di Pie­tro Tres­so, n. 18, 1990, pp. 15 e ss.
[6] L. Tro­tsky, Sto­ria del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa, cit., vol. 2, p. 525.
[7] Ivi, p. 945.
[8] Op. cit., vol. 1, p. 24.
[9] Ivi, p. 19.
[10] K. Marx, Il Capi­ta­le, libro I, Edi­to­ri Riu­ni­ti, 1994, p. 780, nt. 190.
[11] L. Tro­tsky, “Dove va la Gran Bre­ta­gna?”, in I pro­ble­mi del­la Rivo­lu­zio­ne cine­se e altri scrit­ti su que­stio­ni inter­na­zio­na­li. 1924‑1940, Giu­lio Einau­di Edi­to­re, 1970, p. 83.
[12] I. Deu­tscher, Il Pro­fe­ta esi­lia­to, Lon­ga­ne­si & C., Mila­no, pp. 288 e 305.
[13] L. Tro­tsky, Sto­ria del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa, cit., vol. 1, p. 124.
[14] Let­te­ral­men­te, “sec­chi come la pol­ve­re”; per tra­sla­to, “Noio­si a mor­te”. Car­ly­le defi­ni­sce così que­gli scrit­to­ri pedan­ti, bar­bo­si, che non espri­mo­no sen­ti­men­ti nei loro lavori.
[15] J. Reed, Die­ci gior­ni che scon­vol­se­ro il mon­do, Biblio­te­ca uni­ver­sa­le Riz­zo­li, 2001.
[16] L. Tro­tsky, op. ult. cit., vol. 1, p. 12.
[17] L. Tro­tsky, Lenin, Samo­nà e Savel­li, 1967.
[18] L. Tro­tsky, Sto­ria del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa, cit., vol. 2, pp. 1226‑1227.
[19] L. Tro­tsky, “Some Legends of the Bureau­cra­cy”. Si trat­ta del pri­mo di tre sag­gi sup­ple­men­ta­ri aggiun­ti al secon­do volu­me del­la Sto­ria, ma che non figu­ra­no nel­la tra­du­zio­ne ita­lia­na a cura di Mai­tan a cui abbia­mo fat­to rife­ri­men­to nel­la nota 2.
[20] L. Tro­tsky, Sto­ria del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa, cit., vol. 1, p. 14.
[21] L. Tro­tsky, “Some Legends …”, cit.
[22] L. Tro­tsky, Sto­ria del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa, cit., vol. 1, p. 359.
[23] Ivi, p. 119.
[24] Ivi, p. 359.
[25] Ibi­dem.
[26] Ivi, p. 9 e s.


Neil David­son

[*] Neil David­son (1957‑2020), mili­tan­te socia­li­sta e sto­ri­co mar­xi­sta, ha inse­gna­to pres­so la Facol­tà di Scien­ze poli­ti­che dell’Università di Gla­sgow. Nel­la sua vasta pro­du­zio­ne intel­let­tua­le spic­ca­no le ope­re Disco­ve­ring the Scot­tish Revo­lu­tion 1692–1746, che è sta­ta insi­gni­ta del pre­sti­gio­so rico­no­sci­men­to Deu­tscher Memo­rial Pri­ze, How Revo­lu­tio­na­ry Were the Bour­geois Revo­lu­tions? e We Can­not Esca­pe Histo­ry: Sta­tes and Revo­lu­tions.