Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Guerra in Ucraina, Imperialismo e guerre imperialiste

La mezzanotte del XXI secolo

Pre­sen­tia­mo ai nostri let­to­ri un arti­co­lo sul­la gene­si e le pro­spet­ti­ve del­la guer­ra in Ucrai­na a qua­si un anno e mez­zo dal suo scoppio.
Buo­na lettura.
La redazione

La mezzanotte del XXI secolo


La guerra in Ucraina nel suo secondo anno: un bilancio, le prospettive


Vale­rio Torre

 

«La guer­ra non è mai un atto isolato
[…] non nasce isolatamente
e non si espan­de in un bat­ter d’occhio. […]
La guer­ra non è … sola­men­te un atto politico.
ma un vero stru­men­to del­la politica,
un segui­to del pro­ce­di­men­to politico,
una sua con­ti­nua­zio­ne con altri mezzi.
[…] Il dise­gno poli­ti­co è lo scopo,
la guer­ra è il mezzo,
ed un mez­zo sen­za scopo
non può mai concepirsi»
(K. von Clau­sewi­tz, Del­la guer­ra)

«C’è for­se un ambi­to in cui la nostra teoria,
secon­do la qua­le l’organizzazione del lavoro
è deter­mi­na­ta dai mez­zi di produzione,
tro­va una con­fer­ma più eclatante
che nell’industria del macel­lo degli uomini?»
(K. Marx, Let­te­ra a Engels, 7 luglio 1866)

«Sen­za l’U­crai­na, la Rus­sia ces­sa di esse­re un impero,
ma con l’U­crai­na sot­to­mes­sa e poi subordinata
la Rus­sia diven­ta auto­ma­ti­ca­men­te un impero»
(Z. Brze­ziń­ski, Ame­ri­ca and the Cri­sis of Glo­bal Power)

«Com­bat­te­re­mo per l’indipendenza ucraina
fino all’ultimo ucraino»
(C.W. Free­man Jr.)

«Non sia­mo usci­ti dal­la depressione
gra­zie alla teo­ria economica.
Ne sia­mo venu­ti fuori
gra­zie alla Secon­da Guer­ra mondiale»
(D.C. North)

 

Tra­scor­so oltre un anno dall’inizio del con­flit­to in Ucrai­na pos­sia­mo pro­va­re a dise­gna­re un’analisi che non si limi­ti ai suoi aspet­ti mili­ta­ri o geo­po­li­ti­ci, ma allar­ghi lo sguar­do alle ragio­ni pro­fon­de che lo han­no deter­mi­na­to e che stan­no pro­du­cen­do tut­ta una serie di con­vul­sio­ni a livel­lo glo­ba­le: con­vul­sio­ni che, a loro vol­ta, stan­no met­ten­do in discus­sio­ne gli “equi­li­bri” che – solo appa­ren­te­men­te – tene­va­no insie­me l’ordine mon­dia­le così come lo abbia­mo cono­sciu­to negli ulti­mi decenni.
E non sono casua­li le cita­zio­ni poste all’inizio di que­sto testo: che, anzi, ne costi­tui­sco­no non solo il filo con­dut­to­re, ma pro­prio una sor­ta di “mani­fe­sto”.

“La guer­ra non è un atto isolato”
Fra i tan­ti che ripren­do­no come un man­tra la notis­si­ma affer­ma­zio­ne di von Clau­sewi­tz secon­do cui la guer­ra è la con­ti­nua­zio­ne del­la poli­ti­ca con altri mez­zi, non tut­ti valu­ta­no sem­pre cor­ret­ta­men­te la por­ta­ta del­la rifles­sio­ne del gene­ra­le prus­sia­no, per il qua­le l’atto bel­li­co rap­pre­sen­ta sol­tan­to il mez­zo per por­ta­re avan­ti uno sco­po. Chi pre­scin­de da que­sta incon­fu­ta­bi­le veri­tà sca­de in una rico­stru­zio­ne fon­da­men­tal­men­te erra­ta. E così, men­tre i rifor­mi­sti (per­lo­più filoa­tlan­ti­ci) e i paci­fi­sti enfa­tiz­za­no nel­le loro ana­li­si l’aspetto per cui ci sareb­be­ro “un aggres­so­re e un aggre­di­to” – con i pri­mi a sot­to­li­nea­re che la Rus­sia sareb­be “l’Impero del Male” che vuo­le distrug­ge­re “i valo­ri dell’Europa demo­cra­ti­ca” – i nostal­gi­ci del cam­pi­smo sta­li­no-togliat­tia­no si limi­ta­no a vede­re nell’invasione dell’Ucraina la rea­zio­ne di Mosca all’espansione ver­so est del­la Nato, così di fat­to giu­sti­fi­can­do­la. Dal can­to loro, le orga­niz­za­zio­ni che si richia­ma­no al mar­xi­smo rivo­lu­zio­na­rio – con poche lode­vo­li ecce­zio­ni – costrui­sco­no le pro­prie ana­li­si a par­ti­re dall’assolutizzazione (fuo­ri tem­po mas­si­mo, dal momen­to che il XX seco­lo ha pres­so­ché defi­ni­ti­va­men­te risol­to la que­stio­ne nazio­na­le: con l’ec­ce­zio­ne, per­lo­me­no, di quel­la pale­sti­ne­se) del prin­ci­pio di auto­de­ter­mi­na­zio­ne: per cui, distor­cen­do alcu­ni clas­si­ci dei teo­ri­ci del mar­xi­smo, esal­ta­no la “resi­sten­za ucrai­na” attri­buen­do­le il ruo­lo di com­bat­ten­te in quel­la che defi­ni­sco­no “una guer­ra di libe­ra­zio­ne nazio­na­le”[1] e chie­do­no al pro­prio impe­ria­li­smo di invia­re armi in Ucrai­na ponen­do­si alla sua coda. Ma, nono­stan­te le dif­fe­ren­ze fra loro, tut­te que­ste orga­niz­za­zio­ni han­no in comu­ne il fat­to di iso­la­re il con­flit­to in ter­ra ucrai­na come ele­men­to che vive di vita pro­pria, ren­den­do­lo il fat­to­re uni­co ed esclu­si­vo del­le loro ana­li­si, sle­ga­to dal­le dina­mi­che del­la com­pe­ti­zio­ne glo­ba­le fra le poten­ze mon­dia­li e del­la ridi­slo­ca­zio­ne degli atto­ri di secon­do pia­no entro il qua­dro del­le riva­li­tà interimperialistiche.

La “pre­i­sto­ria” del­la guer­ra in Ucraina
Il con­flit­to in Ucrai­na non è comin­cia­to il 24 feb­bra­io 2022 con l’invasione del­le trup­pe rus­se e l’inizio dell’offensiva mili­ta­re; e nep­pu­re nel 2014[2] con il c.d. “Euro­Mai­dan”, quan­do una pro­te­sta di mas­sa con­tro il gover­no Janu­ko­vyč, ini­zial­men­te spon­ta­nea, finì per esse­re ete­ro­di­ret­ta dagli Usa, con poli­ti­ci sta­tu­ni­ten­si come John McCain e Vic­to­ria Nuland ad arrin­ga­re la fol­la, con­trol­la­ta da drap­pel­li arma­ti del­le orga­niz­za­zio­ni neo­na­zi­ste Svo­bo­da e Pra­vy Sek­tor che rap­pre­sen­ta­ro­no la for­za d’urto del movi­men­to di Mai­dan dopo che ebbe­ro mes­so fuo­ri gio­co gli atti­vi­sti sin­da­ca­li[3]. E già a quell’epoca v’era chi, nel­lo spie­ga­re la cri­si, pun­ta­va il dito con­tro le poli­ti­che degli Usa e dell’Ue[4].
Nem­me­no è cor­ret­to dire che le radi­ci dell’attuale con­flit­to arma­to in Ucrai­na deb­ba­no ricer­car­si – come pure mol­ti sosten­go­no – nel­la “Guer­ra del Don­bas” (ini­zia­ta nell’aprile del 2014 e che oggi è di fat­to inglo­ba­ta nel più gene­ra­le con­flit­to in ter­ra d’Ucraina), con la repres­sio­ne arma­ta da par­te del­le trup­pe ucrai­ne del­le istan­ze auto­no­mi­ste di quel­la regio­ne, dal­la mar­ca­ta pre­sen­za rus­so­fo­na[5].
No. Per rin­ve­ni­re le ori­gi­ni del­la guer­ra in cor­so occor­re risa­li­re – come acu­ta­men­te osser­va James W. Car­den, ex con­si­glie­re del Dipar­ti­men­to di Sta­to Usa[6] – alla cadu­ta del Muro di Ber­li­no e alla dis­so­lu­zio­ne del trat­ta­to costi­tu­ti­vo dell’Unione Sovie­ti­ca, quan­do 25 milio­ni di rus­si che vive­va­no nel­le repub­bli­che ex sovie­ti­che si ritro­va­ro­no dall’oggi al doma­ni fuo­ri dal ter­ri­to­rio del­la Rus­sia, e in par­ti­co­la­re alcu­ni milio­ni di rus­si etni­ci abi­tan­ti del­la Cri­mea e del Don­bas si risve­glia­ro­no cit­ta­di­ni di un Pae­se diver­so: l’Ucraina. Con­sa­pe­vo­le che la situa­zio­ne negli Sta­ti ex sovie­ti­ci era par­ti­co­lar­men­te pre­ca­ria e insta­bi­le (e per­ciò poten­zial­men­te esplo­si­va), il pre­si­den­te sta­tu­ni­ten­se Geor­ge H.W. Bush deli­neò una poli­ti­ca fon­da­ta sull’impegno a non esa­cer­ba­re le ten­sio­ni etni­che laten­ti nel­le repub­bli­che ex sovie­ti­che, non stan­can­do­si mai di ripe­te­re che gli Sta­ti Uni­ti “non dove­va­no dan­za­re sul­le rovi­ne del Muro di Ber­li­no”, cioè non avreb­be­ro dovu­to eser­ci­ta­re alcu­na pres­sio­ne per con­di­zio­na­re la for­ma che avreb­be pre­so l’assetto poli­ti­co post-sovietico.

(Geor­ge H.W. Bush e Michail Gorbačëv)

E infat­ti, in un discor­so tenu­to al par­la­men­to ucrai­no il 1° ago­sto 1991, Bush padre trat­teg­giò la sua linea poli­ti­ca riguar­do ai Pae­si dell’ex Unio­ne Sovie­ti­ca: «Non vi dire­mo come dove­te rifor­ma­re la vostra socie­tà. Non pren­de­re­mo le par­ti dei vin­ci­to­ri né dei vin­ti nel­le con­te­se poli­ti­che tra le repub­bli­che o tra le repub­bli­che e il cen­tro. Quel­lo è affar vostro, non è affa­re degli Sta­ti Uni­ti. […] Non appog­ge­re­mo i fau­to­ri di un nazio­na­li­smo sui­ci­da mos­so dall’odio etni­co»[7].

Ma nel novem­bre 1992 Bush non fu rie­let­to alle pre­si­den­zia­li e gli suc­ce­det­te Bill Clin­ton: il qua­le, da quel momen­to, impres­se alla poli­ti­ca sta­tu­ni­ten­se un radi­ca­le cam­bia­men­to nel sen­so di una sem­pre più mar­ca­ta e aggres­si­va pro­ie­zio­ne degli Usa nell’est euro­peo, sol­le­ti­can­do­ne i nazio­na­li­smi – in par­ti­co­la­re quel­lo ucrai­no – anche attra­ver­so l’espansione del­la Nato. Mes­sa da par­te la pru­den­za del pre­de­ces­so­re, Clin­ton si lan­ciò anche in una esca­la­tion bel­li­ca nei Bal­ca­ni, incu­ran­te dei rap­por­ti che sto­ri­ca­men­te lega­va­no Bel­gra­do a Mosca, la cui rea­zio­ne irri­ta­ta con­tri­buì ad acui­re la cri­si e le ten­sio­ni con la Rus­sia nel­la regione.
Mol­to effi­ca­ce­men­te, Car­den con­clu­de così il suo sag­gio: «Il riget­to del­la cau­te­la poli­ti­ca di Bush fu l’errore fata­le dell’amministrazione Clin­ton. Un erro­re che ha con­tri­bui­to a por­tar­ci sull’orlo di una nuo­va, impen­sa­bi­le guer­ra mon­dia­le. […] Non par­reb­be avven­ta­to dire che la poli­ti­ca attua­ta da Clin­ton in Ser­bia abbia pre­pa­ra­to il ter­re­no per quel­lo a cui stia­mo assi­sten­do oggi in Ucrai­na»[8].

La RAND Cor­po­ra­tion det­ta la linea
La pos­si­bi­li­tà con­cre­ta che l’Ucraina entras­se a far par­te del­la Nato – con la con­se­guen­za del dispie­ga­men­to di trup­pe del Pat­to Atlan­ti­co e di armi nuclea­ri pro­prio ai con­fi­ni con la Rus­sia e mis­si­li in gra­do di rag­giun­ger­ne la capi­ta­le in poco più di cin­que minu­ti – ha sem­pre rap­pre­sen­ta­to una pre­oc­cu­pa­zio­ne stra­te­gi­ca di Mosca[9]. Eppu­re, c’è sta­to, anche a sini­stra, chi ha soste­nu­to che que­sta fos­se uni­ca­men­te una scu­sa imba­sti­ta da Putin per poter inva­de­re l’Ucraina al solo sco­po di sod­di­sfa­re le sue nostal­gi­che ambi­zio­ni impe­ria­li di rico­stru­zio­ne di una Gran­de Rus­sia: un’analisi impres­sio­ni­sta, evi­den­te­men­te idea­li­sta, imbe­vu­ta di inge­nuo psicologismo.
In real­tà, ci sono diver­si riscon­tri per quel­la pre­oc­cu­pa­zio­ne stra­te­gi­ca. Pren­dia­mo ad esem­pio il rap­por­to redat­to dal­la RAND Corporation.
La RAND Cor­po­ra­tion, come leg­gia­mo dal suo stes­so sito, «è un’organizzazione di ricer­ca che svi­lup­pa solu­zio­ni per le sfi­de del­le poli­ti­che pub­bli­che allo sco­po di con­tri­bui­re a ren­de­re le comu­ni­tà di tut­to il mon­do più sicu­re, più sane e più pro­spe­re». Ha la sede prin­ci­pa­le negli Sta­ti Uni­ti (San­ta Moni­ca, New Orleans, Washing­ton DC, Boston e Pitt­sbur­gh) e sedi secon­da­rie in Euro­pa (Cam­brid­ge e Bru­xel­les) e Austra­lia (Can­ber­ra). Non è sol­tan­to uno di quei think tank che appre­sta­no e sug­ge­ri­sco­no ana­li­si sul­le qua­li mol­to spes­so i gover­ni fon­da­no le pro­prie poli­ti­che. For­te di 1850 dipen­den­ti e con un bud­get di 350 milio­ni di dol­la­ri, que­sto cen­tro stu­di è inve­ce stret­ta­men­te col­le­ga­to al Dipar­ti­men­to del­la Dife­sa degli Usa ed è noto per esse­re sta­to mol­to influen­te nel­lo svi­lup­po di stra­te­gie, mili­ta­ri e non solo, duran­te la Guer­ra Fred­da. Le sue ana­li­si sono per lo più dispo­ni­bi­li uffi­cial­men­te sul­la pagi­na web isti­tu­zio­na­le, come nel caso, appun­to, del rap­por­to pub­bli­ca­to nel 2019 e inti­to­la­to “Exten­ding Rus­sia: Com­pe­ting from Advan­ta­geous Ground”[10].
Que­sto testo, spon­so­riz­za­to dall’Ufficio per la Revi­sio­ne Qua­drien­na­le del­la Dife­sa del­l’E­ser­ci­to, dall’Ufficio del Vice Capo di Sta­to Mag­gio­re e dal Quar­tier gene­ra­le del Dipar­ti­men­to dell’Esercito degli Sta­ti Uni­ti, esa­mi­na­va espli­ci­ta­men­te le moda­li­tà pos­si­bi­li per inde­bo­li­re e con­tra­sta­re la Rus­sia nel qua­dro del­la com­pe­ti­zio­ne fra gran­di poten­ze come deli­nea­to nel 2018 dal­la Stra­te­gia di Dife­sa Nazio­na­le. Pren­de per­ciò in esa­me «le vul­ne­ra­bi­li­tà e le pre­oc­cu­pa­zio­ni eco­no­mi­che, poli­ti­che e mili­ta­ri del­la Rus­sia» per giun­ge­re ad ana­liz­za­re «le poten­zia­li opzio­ni poli­ti­che per sfrut­tar­le dal pun­to di vista ideo­lo­gi­co, eco­no­mi­co, geo­po­li­ti­co e mili­ta­re (com­pre­se le opzio­ni aeree e spa­zia­li, marit­ti­me, ter­re­stri e mul­ti­do­mi­nio)». E, pur con­si­de­ran­do che alcu­ne di que­ste poli­ti­che, carat­te­riz­za­te come incre­men­ta­li, avreb­be­ro potu­to deter­mi­na­re una con­tro-esca­la­tion da par­te del­la Rus­sia stes­sa, non­ché le rea­zio­ni avver­se di altri Pae­si nemi­ci – come ad esem­pio la Cina – in gra­do di met­te­re a dura pro­va gli Sta­ti Uni­ti, il rap­por­to con­clu­de­va che le «opzio­ni mili­ta­ri, com­pre­si i cam­bia­men­ti nel­la postu­ra del­le for­ze e lo svi­lup­po di nuo­ve capa­ci­tà, potreb­be­ro miglio­ra­re la deter­ren­za degli Sta­ti Uni­ti e ras­si­cu­ra­re gli allea­ti», con il van­tag­gio di esse­re in gra­do di inde­bo­li­re la Russia.
Tut­to il docu­men­to, infat­ti, era costrui­to sul­la base dell’obiettivo di sfi­bra­re Mosca facen­do lie­vi­ta­re i costi mili­ta­ri, eco­no­mi­ci e poli­ti­ci dei suoi impe­gni all’estero.
È per que­sta ragio­ne che la RAND Cor­po­ra­tion sug­ge­ri­va al gover­no degli Sta­ti Uni­ti, fra le altre opzio­ni mili­ta­ri che avreb­be dovu­to assu­me­re (assi­cu­ra­re il soste­gno ai ribel­li siria­ni, pro­muo­ve­re un cam­bio di regi­me in Bie­lo­rus­sia, sfrut­ta­re le ten­sio­ni arme­ne e aze­re, inten­si­fi­ca­re l’attenzione ver­so l’Asia cen­tra­le e iso­la­re la Trans­ni­stria), quel­la di «for­ni­re armi leta­li all’Ucraina». E, in que­sto sen­so, l’instabile situa­zio­ne che dal 2014 si anda­va svi­lup­pan­do in Ucrai­na costi­tui­va per gli esten­so­ri del rap­por­to un’occasione da coglie­re al volo.
Pre­so atto infat­ti che sin dal 2014 – con l’approvazione dell’Ukraine Free­dom Sup­port Act – gli Usa ave­va­no prov­ve­du­to ad adde­stra­re trup­pe ucrai­ne e a for­ni­re equi­pag­gia­men­ti mili­ta­ri non leta­li, il rap­por­to sug­ge­ri­va inve­ce di «aumen­ta­re l’assistenza mili­ta­re all’Ucraina, sia in ter­mi­ni di quan­ti­tà che di qua­li­tà degli arma­men­ti». Anzi, per quan­to con­sa­pe­vo­le che la rego­la dell’unanimità ren­des­se impro­ba­bi­le l’ingresso dell’Ucraina nel­la Nato nel bre­ve perio­do, il testo in esa­me evi­den­zia­va che il fat­to stes­so che Washing­ton potes­se cal­deg­gia­re que­sta pos­si­bi­li­tà avreb­be potu­to raf­for­za­re la deter­mi­na­zio­ne del­l’U­crai­na, indu­cen­do al con­tem­po la Rus­sia a rad­dop­pia­re gli sfor­zi per evi­ta­re tale svi­lup­po[11].

Il nego­zia­to era possibile?
Il 14 dicem­bre 2021, il vice mini­stro degli Este­ri rus­so Ser­gei A. Rya­b­kov ave­va incon­tra­to a Mosca l’assistente del segre­ta­rio di Sta­to ame­ri­ca­no Karen Don­fried con­se­gnan­do­le le boz­ze di due trat­ta­ti che avreb­be­ro dovu­to raf­fred­da­re e diri­me­re il con­flit­to nell’area. Il pri­mo trat­ta­to vede­va come par­ti fir­ma­ta­rie gli Sta­ti Uni­ti e la Fede­ra­zio­ne Rus­sa, men­tre il secon­do pre­ve­de­va un accor­do fra quest’ultima e tut­ti gli Sta­ti mem­bri del­la Nato. Le basi per un’intesa pro­po­ste da Mosca pre­ve­de­va­no garan­zie sul riti­ro dell’invito ad ade­ri­re alla Nato rivol­to all’Ucraina e alla Geor­gia e dun­que lo stop all’espansione ver­so est del Pat­to atlan­ti­co; il bloc­co del dispie­ga­men­to di siste­mi d’attacco rivol­ti con­tro la Rus­sia nei Pae­si con essa con­fi­nan­ti, non­ché del­le eser­ci­ta­zio­ni e del­la navi­ga­zio­ne mili­ta­re vici­no ai suoi con­fi­ni ter­re­stri e marit­ti­mi; il reci­pro­co impe­gno da par­te di Mosca; l’istituzione di un cana­le per­ma­nen­te di dia­lo­go e coo­pe­ra­zio­ne in mate­ria di atti­vi­tà mili­ta­ri; il riti­ro del­le armi nuclea­ri schie­ra­te all’estero.
Ma sol­tan­to pochi gior­ni dopo, la pro­po­sta rus­sa veni­va respin­ta sen­za nep­pu­re avan­za­re una con­tro­pro­po­sta o, quan­to­me­no, una dichia­ra­zio­ne di dispo­ni­bi­li­tà a intra­pren­de­re un nego­zia­to[12].
In real­tà, il rifiu­to sta­tu­ni­ten­se di seder­si in quell’occasione al tavo­lo del­le trat­ta­ti­ve è sta­to sin­to­ma­ti­co del­la volon­tà del­le poten­ze occi­den­ta­li – per­se­gui­ta sin da pri­ma del­lo scop­pio del­la guer­ra il 24 feb­bra­io 2022 (e anche dopo) – di boi­cot­ta­re un pos­si­bi­le pro­ces­so di pace, sia pure limi­ta­to quan­to­me­no ad un ces­sa­te il fuo­co nell’attuale con­flit­to. Anco­ra il 4 apri­le 2022, come rife­ri­to da BBC News, Zelens’kyj, rispon­den­do alla doman­da se fos­se anco­ra pos­si­bi­le par­la­re di pace con la Rus­sia, affer­ma­va: «Sì, per­ché l’Ucraina deve ave­re la pace. Sia­mo in Euro­pa nel XXI seco­lo. Con­ti­nue­re­mo a impe­gnar­ci diplo­ma­ti­ca­men­te e mili­tar­men­te»[13].

Boris John­son e Volo­dy­myr Zelens’kyj

Solo pochi gior­ni dopo però, il 9 apri­le, l’allora pre­mier ingle­se Boris John­son si pre­ci­pi­tò a Kiev sen­za pre­av­vi­so indu­cen­do il pre­si­den­te ucrai­no a cam­bia­re idea[14] sul­la base del fat­to che, se anche egli aves­se volu­to rag­giun­ge­re un’intesa con la Rus­sia, l’Occidente non sareb­be sta­to d’accordo sen­ten­do­si impe­gna­to nel con­ti­nua­re lo scon­tro con Mosca, rite­nu­ta più debo­le di quan­to si fos­se ori­gi­na­ria­men­te rite­nu­to. A con­fer­ma del­le pres­sio­ni eser­ci­ta­te su Kiev, tre gior­ni dopo la visi­ta di John­son lo stes­so Putin dichia­rò: «I nego­zia­ti con l’U­crai­na sono nuo­va­men­te giun­ti in un vico­lo cie­co». Per­si­no la rivi­sta sta­tu­ni­ten­se Forei­gn Affairs rico­nob­be che, «secon­do diver­si ex alti fun­zio­na­ri sta­tu­ni­ten­si con cui abbia­mo par­la­to, nell’aprile 2022 i nego­zia­to­ri rus­si e ucrai­ni sem­bra­va­no aver tran­si­to­ria­men­te con­cor­da­to i con­tor­ni di un accor­do prov­vi­so­rio nego­zia­to: la Rus­sia si sareb­be riti­ra­ta sul­le sue posi­zio­ni del 23 feb­bra­io, quan­do con­trol­la­va par­te del­la regio­ne del Don­bas e tut­ta la Cri­mea, e in cam­bio l’Ucraina avreb­be pro­mes­so di non cer­ca­re l’adesione alla Nato e avreb­be inve­ce rice­vu­to garan­zie di sicu­rez­za da un cer­to nume­ro di Pae­si»[15].
Dal can­to suo, l’ex pri­mo mini­stro israe­lia­no Naf­ta­li Ben­nett si era fat­to pro­mo­to­re di un ten­ta­ti­vo di accor­do, dap­pri­ma incon­tran­do Zelens’kyj in una visi­ta coor­di­na­ta con Sta­ti Uni­ti, Fran­cia, Ger­ma­nia e Regno Uni­to, e quin­di, il 4 mar­zo 2022, recan­do­si a Mosca per par­la­re con Putin. Ben­net rife­rì poi in un’intervista che, gra­zie alla sua media­zio­ne, le par­ti si era­no fat­te impor­tan­ti con­ces­sio­ni reci­pro­che, tra le qua­li la rinun­cia da par­te ucrai­na all’adesione alla Nato. Ma infor­mò anche che Boris John­son ave­va assun­to una linea aggres­si­va, men­tre Macron e Scholz pare­va­no più prag­ma­ti­ci e Biden appa­ri­va equi­di­stan­te rispet­to alle due posi­zio­ni. Però alla fine i lea­der occi­den­ta­li si era­no oppo­sti agli sfor­zi di Ben­net. Que­sti, alla doman­da se le poten­ze occi­den­ta­li aves­se­ro bloc­ca­to l’accordo, rispo­se: «Fon­da­men­tal­men­te sì. L’hanno bloc­ca­to e ho pen­sa­to che si stes­se­ro sba­glian­do»[16]. E una con­fer­ma del­la posi­zio­ne bel­li­co­sa di cui John­son si era fat­to inter­pre­te ci vie­ne dal­le paro­le del Segre­ta­rio alla Dife­sa degli Usa, Lloyd Austin, il qua­le ha in segui­to spie­ga­to che uno degli obiet­ti­vi degli Sta­ti Uni­ti in Ucrai­na è vede­re una Rus­sia “inde­bo­li­ta”[17].

La lun­ga vigi­lia di pre­pa­ra­zio­ne del­la guerra
Dopo il rifiu­to da par­te sta­tu­ni­ten­se di avvia­re una trat­ta­ti­va con la Rus­sia a pro­po­si­to dell’affai­re ucrai­no e men­tre la mis­sio­ne inter­na­zio­na­le degli Osser­va­to­ri dell’Osce regi­stra­va tra il 18 e il 20 feb­bra­io 2022 oltre due­mi­la vio­la­zio­ni del ces­sa­te il fuo­co sta­bi­li­to dagli Accor­di di Min­sk[18] poste in esse­re rispet­ti­va­men­te dall’esercito ucrai­no e dal­le arma­te del­le regio­ni sepa­ra­ti­ste di Lugan­sk e di Done­tsk, lun­go la linea di con­fi­ne si anda­va­no ammas­san­do trup­pe di Kiev e di Mosca. Il 21 feb­bra­io attac­chi di arti­glie­ria sem­pre più pesan­ti veni­va­no sca­te­na­ti con­tro le repub­bli­che del Don­bas, tan­to da lasciar pre­ve­de­re che non si sareb­be trat­ta­to più di un duel­lo di arti­glie­ria o uno scam­bio di vio­len­ze: da un pun­to di vista mili­ta­re, appa­ri­va sem­pre più chia­ro che era in atto da par­te ucrai­na una mano­vra di pre­pa­ra­zio­ne dell’artiglieria per un suc­ces­si­vo inter­ven­to del­le for­ze meccanizzate.
Lo stes­so gior­no, di fron­te a que­sta situa­zio­ne, Putin fir­mò un ordi­ne ese­cu­ti­vo con cui la Fede­ra­zio­ne rus­sa rico­no­sce­va imme­dia­ta­men­te l’indipendenza e la sovra­ni­tà del­le repub­bli­che di Done­tsk e di Lugan­sk. I pre­si­den­ti del­le due regio­ni, da par­te loro, sot­to­scris­se­ro trat­ta­ti di ami­ci­zia, coo­pe­ra­zio­ne e reci­pro­ca assi­sten­za con la Rus­sia che inclu­de­va­no accor­di di mutua dife­sa. In tal modo veni­va con­fe­zio­na­to il qua­dro poli­ti­co-giu­ri­di­co per l’intervento di Mosca a dife­sa del­le due repub­bli­che sot­to­po­ste da anni alla vio­len­za dell’intervento arma­to di Kiev.
In que­sto sen­so, è ine­sat­ta, dal pun­to di vista del dirit­to inter­na­zio­na­le bor­ghe­se, la paten­te di “ille­ga­li­tà” attri­bui­ta all’intervento rus­so in Ucrai­na, dal momen­to che esat­ta­men­te lo stes­so pro­ce­di­men­to ven­ne adot­ta­to dal­le poten­ze occi­den­ta­li nel caso del rico­no­sci­men­to del Kosovo.
E nep­pu­re è cor­ret­to dire che l’invasione dell’Ucraina da par­te di Mosca deb­ba esse­re con­si­de­ra­ta come “non pro­vo­ca­ta”, poi­ché tut­to il cor­so sto­ri­co-poli­ti­co del­le vicen­de che abbia­mo fin qui trat­teg­gia­to evi­den­zia una sem­pre più mar­ca­ta e aggres­si­va pro­ie­zio­ne degli Sta­ti Uni­ti e del­la Nato in Ucrai­na in fun­zio­ne dell’acutizzazione del­lo scon­tro geo­po­li­ti­co con la Rus­sia per pro­vo­car­ne il pro­gres­si­vo inde­bo­li­men­to: non può esse­re nega­to, infat­ti, il ruo­lo atti­vo del Pat­to atlan­ti­co nel­la for­ma­zio­ne dell’esercito ucrai­no, adde­stra­to e arma­to da un flus­so con­ti­nuo di for­ze del­la Nato, con la crea­zio­ne di infra­strut­tu­re tese a minac­cia­re la Rus­sia. A tal pro­po­si­to va anche rimar­ca­to che pro­prio gli Accor­di di Min­sk – per ammis­sio­ne stes­sa di Ange­la Mer­kel e Fra­nçois Hol­lan­de, che ave­va­no par­te­ci­pa­to ai nego­zia­ti – non furo­no con­ce­pi­ti per avvia­re un pro­ces­so paci­fi­ca­to­re, ma per far gua­da­gna­re all’Ucraina il tem­po neces­sa­rio a far­si costrui­re dal­la Nato il pro­prio eser­ci­to e così pre­pa­rar­si a un con­flit­to su lar­ga scala.
Intan­to, nel mar­zo 2021 l’Ucraina ave­va adot­ta­to una nuo­va stra­te­gia mili­ta­re con decre­to pre­si­den­zia­le n. 121/2021. Que­sto docu­men­to – “Sul­la stra­te­gia di sicu­rez­za mili­ta­re dell’Ucraina” – idea­to esclu­si­va­men­te in fun­zio­ne del con­fron­to con la Rus­sia, ipo­tiz­za sen­za mez­zi ter­mi­ni il coin­vol­gi­men­to di Sta­ti stra­nie­ri in un futu­ro con­flit­to con Mosca pre­ve­den­do «l’assistenza del­la comu­ni­tà inter­na­zio­na­le a con­di­zio­ni favo­re­vo­li per l’Ucraina», non­ché «il soste­gno poli­ti­co, eco­no­mi­co e mili­ta­re dell’Ucraina da par­te del­la comu­ni­tà mon­dia­le nel con­fron­to geo­po­li­ti­co con la Fede­ra­zio­ne rus­sa»: in pra­ti­ca, la pre­pa­ra­zio­ne del­le osti­li­tà a livel­lo glo­ba­le con­tro la Russia.
Il 24 feb­bra­io, quan­do ormai il sol­co degli even­ti era trac­cia­to, le trup­pe rus­se sono entra­te in Ucrai­na da diver­se dire­zio­ni. La guer­ra era infi­ne iniziata.

Una san­gui­no­sa guer­ra di attri­to e i suoi con­trap­po­sti obiettivi
Non ci dilun­ghe­re­mo sugli aspet­ti mili­ta­ri di que­sto con­flit­to: innan­zi­tut­to, per­ché esso è anco­ra in atto, in con­ti­nua evo­lu­zio­ne e, da quel che si può com­pren­de­re attra­ver­so diver­se fon­ti, pur­trop­po di pre­su­mi­bi­le lun­ga dura­ta[19]; poi per­ché si sta svol­gen­do su una linea di fron­te enor­me, con distri­bu­zio­ni ine­gua­li del­le for­ze sul cam­po di bat­ta­glia, il che impli­ca che il com­bat­ti­men­to si tro­va in dif­fe­ren­ti fasi a secon­da del­le zone inte­res­sa­te[20]. Quel che è cer­to è che, da un pun­to di vista gene­ra­le, si trat­ta di una guer­ra di attri­to (o di logo­ra­men­to), e cioè di un tipo di con­flit­to mol­to diver­so da quel­li ai qua­li negli ulti­mi decen­ni abbia­mo assi­sti­to, e più in linea con la dot­tri­na mili­ta­re rus­sa (e in pre­ce­den­za sovie­ti­ca) che non, ad esem­pio, con quel­la sta­tu­ni­ten­se appli­ca­ta nel­le guer­re in Iraq e in Afgha­ni­stan. Con que­sta moda­li­tà di con­flit­to il Crem­li­no sta per­se­guen­do uno degli obiet­ti­vi poli­ti­ci espli­ci­ta­ti con l’invasione: la “demi­li­ta­riz­za­zio­ne” dell’Ucraina, cioè la distru­zio­ne mas­sic­cia e siste­ma­ti­ca di mano­do­pe­ra e mate­ria­li mili­ta­ri di Kiev; e la guer­ra di attri­to con­dot­ta da Mosca è il “mez­zo” che pun­ta esat­ta­men­te a que­sto “sco­po”, e non già alla con­qui­sta e al con­trol­lo di territori.

(Distru­zio­ne a Bahmut/Artëmovsk)

In tal sen­so, quest’obiettivo è in fase di rea­liz­za­zio­ne con­si­de­ran­do le gigan­te­sche per­di­te da par­te ucrai­na[21]. E pro­prio la bat­ta­glia di Bah­mut è sta­ta esem­pla­re. Men­tre la pro­pa­gan­da occi­den­ta­le ha dipin­to sin dall’inizio la cit­tà come di nes­sun valo­re stra­te­gi­co[22], in real­tà essa rap­pre­sen­ta una posi­zio­ne chia­ve ope­ra­ti­va­men­te cri­ti­ca nel­la dife­sa ucrai­na, e la Rus­sia l’ha tra­sfor­ma­ta in una fos­sa mor­ta­le che ha costret­to Kiev, fino alla sua cadu­ta, a sacri­fi­ca­re un nume­ro esor­bi­tan­te di uomi­ni per man­te­ne­re la posi­zio­ne fin­ché pos­si­bi­le[23]. Que­sto per­ché la cadu­ta di Bah­mut ha signi­fi­ca­to il crol­lo dell’ultima linea difen­si­va che pro­teg­ge, tra le altre, Sla­vyan­sk e Kra­ma­tor­sk, que­ste sì stra­te­gi­che nel qua­dro del con­trol­lo rus­so del Don­bas[24].
Il fat­to è che quel­la che abbia­mo defi­ni­to una “pre­oc­cu­pa­zio­ne stra­te­gi­ca” di Mosca – tene­re cioè lon­ta­ni dai pro­pri con­fi­ni trup­pe e mis­si­li del Pat­to atlan­ti­co – è alla base dell’obiettivo poli­ti­co che la Rus­sia si era da tem­po posta, crea­re cioè un’ampia fascia smi­li­ta­riz­za­ta di pro­te­zio­ne dal­le poli­ti­che mili­ta­ri occi­den­ta­li. In que­sto sen­so – e qui tor­nia­mo alla con­ce­zio­ne di von Clau­sewi­tz – il rag­giun­gi­men­to di quell’obiettivo è sta­to cer­ca­to da Putin dap­pri­ma attra­ver­so la via nego­zia­le. Fru­stra­to que­sto ten­ta­ti­vo, come abbia­mo visto, dal rifiu­to degli Usa e del­la Nato, lo sco­po poli­ti­co non pote­va tro­va­re la sua rea­liz­za­zio­ne se non attra­ver­so la via mili­ta­re: uno sboc­co – que­sto – neces­si­ta­to dal pro­gres­si­vo acuir­si del­le ten­sio­ni impo­sto dall’imperialismo sta­tu­ni­ten­se con la sua sem­pre più aggres­si­va poli­ti­ca mili­ta­re con­tro la Rus­sia[25], vol­ta anche a spin­ger­la in un con­flit­to che le intel­li­gen­ce occi­den­ta­li, sul­la base di una col­pe­vo­le sot­to­va­lu­ta­zio­ne del­la rea­le poten­za bel­li­ca di Mosca, repu­ta­va­no di bre­ve dura­ta e dall’esito nega­ti­vo per il Crem­li­no[26].
La pri­mis­si­ma fase del con­flit­to (che pos­sia­mo defi­ni­re come “pia­no A”), quel­la cioè ini­zia­ta con l’invasione, non rag­giun­se l’obiettivo di inti­mo­ri­re l’Ucraina facen­do­la rece­de­re dai suoi pia­ni di ade­sio­ne alla Nato, anche per la limi­ta­tez­za del­la for­za mili­ta­re mes­sa in cam­po da Putin rispet­to a un eser­ci­to nume­ri­ca­men­te mol­to più sover­chian­te e comun­que arma­to fino ai den­ti, sia pure con attrez­za­tu­re non moder­nis­si­me. Per que­sto Mosca pas­sò all’esecuzione di un “pia­no B”, cioè a una guer­ra di logo­ra­men­to per la qua­le essa è per­fet­ta­men­te attrez­za­ta gra­zie a un gigan­te­sco com­ples­so mili­ta­re-indu­stria­le, scor­te di muni­zio­ni e pro­du­zio­ni di armi per decen­ni e un gigan­te­sco poten­zia­le ser­ba­to­io di mano­do­pe­ra[27]: una guer­ra di logo­ra­men­to che può affron­ta­re anche per­ché vi si era pre­pa­ra­ta da tem­po[28].
Con­clu­den­do su que­sto pun­to, non pos­sia­mo esi­mer­ci dall’osservare che sul­la pel­le degli ucrai­ni in bat­ta­glia le par­ti coin­vol­te in que­sta guer­ra per pro­cu­ra[29] stan­no per­se­guen­do obiet­ti­vi sim­me­tri­ci e con­trap­po­sti: da una par­te, le poten­ze occi­den­ta­li e la Nato cer­ca­no di logo­ra­re Mosca costrin­gen­do­la – attra­ver­so il pro­trar­si dell’impegno bel­li­co – ad aumen­ta­re le risor­se impie­ga­te ren­den­do sem­pre più one­ro­so lo sfor­zo mili­ta­re anche gra­zie ai diver­si pac­chet­ti di san­zio­ni eco­no­mi­che che si pre­fig­go­no lo sco­po di crea­re i pre­sup­po­sti per una cri­si socia­le in Rus­sia da rivol­ge­re con­tro Putin per pro­vo­ca­re una cri­si poli­ti­ca e un cam­bio al ver­ti­ce del Crem­li­no disar­ti­co­lan­do­ne il siste­ma di pote­re[30]; dall’altra, la Rus­sia, attra­ver­so una pro­lun­ga­ta guer­ra di attri­to, sta svol­gen­do il lavo­ro meto­di­co di “maci­na­re” irre­pa­ra­bil­men­te le capa­ci­tà mili­ta­ri dell’Ucraina costrin­gen­do l’Occidente a sob­bar­car­si il pesan­te one­re di soste­ne­re lo Sta­to e l’esercito di Kiev[31], con­tem­po­ra­nea­men­te cer­can­do di sfrut­ta­re a pro­prio favo­re la cri­si ener­ge­ti­ca insor­ta pro­prio a par­ti­re dal­le san­zio­ni con­tro la ven­di­ta dei suoi pro­dot­ti ener­ge­ti­ci, la qua­le ha a sua vol­ta inne­sca­to una for­te cri­si eco­no­mi­ca che sta pro­fon­da­men­te dan­neg­gian­do l’intera Unio­ne euro­pea[32]: cri­si che Mosca vuo­le vol­ge­re a pro­prio van­tag­gio sti­mo­lan­do la sfi­du­cia gene­ra­liz­za­ta dei cit­ta­di­ni del Vec­chio Con­ti­nen­te ver­so i pro­pri rispet­ti­vi gover­ni per spez­za­re così i loro lega­mi con Washington.

Auto­de­ter­mi­na­zio­ne nazio­na­le e capi­to­la­zio­ne all’imperialismo
Fin qui abbia­mo esa­mi­na­to gli even­ti che sono alla base del­le radi­ci “geo­po­li­ti­che” – dicia­mo così – di que­sto scon­tro fra diver­si impe­ria­li­smi che abbia­mo anche defi­ni­to una guer­ra “per pro­cu­ra”, cioè com­bat­tu­ta fra la Rus­sia e le poten­ze occi­den­ta­li che non voglio­no o non pos­so­no “met­te­re i pro­pri sti­va­li” sul suo­lo di una nazio­ne ter­za (in que­sto caso, l’Ucraina), di cui uti­liz­za­no però strut­tu­re e mano­do­pe­ra, limi­tan­do­si a for­nir­le armi e mez­zi, ma di fat­to ete­ro­di­ri­gen­do­la. Si trat­ta, nel­la fat­ti­spe­cie, di una carat­te­riz­za­zio­ne che ormai anche le pie­tre condividono.
Ma alcu­ne orga­niz­za­zio­ni – sia nazio­na­li che inter­na­zio­na­li[33] – han­no evi­den­te­men­te la testa più dura del­le pie­tre e coc­ciu­ta­men­te nega­no que­sta realtà:

  • iso­lan­do il con­flit­to sul suo­lo ucrai­no dal con­te­sto del­la lun­ga fase di con­te­se fra poten­ze impe­ria­li­ste ed eli­mi­nan­do dall’analisi il qua­dro gene­ra­le del­le poli­ti­che che l’hanno pre­ce­du­to e con­di­zio­na­to e l’esame del­la natu­ra sostan­zia­le del­le for­ze socia­li che gli fan­no da sfondo;
  • asso­lu­tiz­zan­do il prin­ci­pio di auto­de­ter­mi­na­zio­ne e facen­do­ne «un prin­ci­pio sovra­sto­ri­co (sul model­lo dell’imperativo cate­go­ri­co di Kant)»[34];
  • attri­buen­do per­ciò al con­flit­to la paten­te di una guer­ra di dife­sa e di libe­ra­zio­ne nazio­na­le con­tro un’aggressione imperialista.

Gra­zie a que­sto truf­fal­di­no pro­ce­di­men­to, lo scon­tro appa­re con­fi­na­to sul ter­re­no di un solo Pae­se e si limi­ta a un aggres­so­re e un aggre­di­to. E così, il gio­co è fat­to: non c’è nes­su­na guer­ra inte­rim­pe­ria­li­sta per pro­cu­ra, ma una guer­ra di dife­sa nazio­na­le e per l’affermazione del dirit­to di auto­de­ter­mi­na­zio­ne, in cui ope­ra una “resi­sten­za” popo­la­re che per­ciò deve esse­re soste­nu­ta militarmente.
Ma in real­tà, se nell’analisi del con­flit­to in atto e nel­la carat­te­riz­za­zio­ne del­la guer­ra in Ucrai­na c’è un argo­men­to cita­to del tut­to a spro­po­si­to, è pro­prio quel­lo dell’autodeterminazione.
Men­tre i bol­sce­vi­chi – e, pri­ma di loro, Marx ed Engels – lo con­ce­pi­va­no come un mez­zo nell’interesse del pro­le­ta­ria­to, e non un fine, gli odier­ni soste­ni­to­ri del dirit­to all’autodeterminazione ne fan­no un dirit­to eter­no, esi­sten­te al di fuo­ri del tem­po e del­lo spa­zio, per poter­lo appli­ca­re all’Ucraina del XXI seco­lo[35]. Sic­co­me il mar­xi­smo ha come pro­pria stel­la pola­re il pun­to di vista degli inte­res­si inter­na­zio­na­li del­la clas­se ope­ra­ia, e a que­sti subor­di­na tut­ti gli altri “prin­ci­pi” e “dirit­ti”, com­pre­so il nazio­na­li­smo, Lenin e i suoi patro­ci­na­va­no e soste­ne­va­no il dirit­to all’autodeterminazione del­le nazio­ni oppres­se all’interno del­lo Sta­to zari­sta per­ché sen­za un’alleanza con i con­ta­di­ni e i popo­li oppres­si (che era­no essi stes­si in gran par­te con­ta­di­ni) la clas­se ope­ra­ia non sareb­be mai potu­ta sali­re al pote­re: ma si trat­ta­va, appun­to, di un mez­zo per rag­giun­ge­re il fine del­la distru­zio­ne del­lo Sta­to zari­sta. Eppu­re lo stes­so Lenin cer­ta­men­te non subor­di­na­va gli inte­res­si del­la clas­se ope­ra­ia a que­sto “dirit­to” quan­do sosten­ne l’invasione del­la Polo­nia nel 1920, con­tem­po­ra­nea­men­te pren­den­do in con­si­de­ra­zio­ne l’invasione dell’Ungheria[36]. E infat­ti, egli era sta­to estre­ma­men­te chia­ro nel soste­ne­re che «nes­sun mar­xi­sta può nega­re, a meno di rom­pe­re con i prin­ci­pi fon­da­men­ta­li del mar­xi­smo e del socia­li­smo in gene­ra­le, che gli inte­res­si del socia­li­smo stan­no al di sopra di quel­li del dirit­to del­le nazio­ni all’autodecisione»[37].
La “que­stio­ne nazio­na­le”, come abbia­mo già accen­na­to, è sta­ta in buo­na sostan­za pres­so­ché defi­ni­ti­va­men­te risol­ta nel cor­so del XX seco­lo, sic­ché la ripro­po­si­zio­ne del prin­ci­pio dell’autodeterminazione da par­te di que­ste più o meno gran­di orga­niz­za­zio­ni che infan­ga­no i prin­ci­pi del mar­xi­smo è il frut­to di un’assolutizzazione fuo­ri tem­po mas­si­mo di tale prin­ci­pio. Ma rap­pre­sen­ta anche la capi­to­la­zio­ne ad uno degli argo­men­ti più uti­liz­za­ti dagli impe­ria­li­smi occi­den­ta­li per “legit­ti­ma­re” la loro guer­ra per pro­cu­ra con­tro la Rus­sia: cioè quel­lo per cui Putin vor­reb­be annien­ta­re la nazio­ne ucrai­na, che egli con­si­de­re­reb­be una sor­ta di “non-popo­lo”.
Si trat­ta di una sesqui­pe­da­le scioc­chez­za: quel­la di Mosca non è una guer­ra colo­nia­le di annes­sio­ne e di can­cel­la­zio­ne del­la nazio­ne ucrai­na. La Rus­sia vuo­le sol­tan­to anni­chi­li­re la poten­za di fuo­co del gover­no di Kiev e ren­der­lo inca­pa­ce di costi­tui­re per essa una minac­cia attra­ver­so il dispie­ga­men­to del­le armi del­la Nato sul suo ter­ri­to­rio. Mosca con­si­de­ra quel­lo che abi­ta l’Ucraina un popo­lo sla­vo – e quin­di fra­tel­lo – per cui non inten­de affat­to annien­ta­re fisi­ca­men­te la nazio­na­li­tà ucrai­na, come sostie­ne l’Occidente col­let­ti­vo con i suoi reg­gi­co­da socia­lim­pe­ria­li­sti, dal momen­to che se aves­se volu­to dav­ve­ro far­lo avreb­be mar­cia­to su Kiev non con un eser­ci­to limi­ta­tis­si­mo, come ha fat­to nel­la pri­ma fase dell’invasione, ma avreb­be mes­so in cam­po un’armata di cin­que milio­ni di uomi­ni; avreb­be pro­ce­du­to a rade­re siste­ma­ti­ca­men­te al suo­lo tut­te le più impor­tan­ti cit­tà con le poten­ti armi che sta inve­ce diri­gen­do solo con­tro infra­strut­tu­re mili­ta­ri (o quel­le anche ad uso civi­le che però ven­go­no uti­liz­za­te per sco­pi mili­ta­ri); avreb­be mas­sa­cra­to indi­scri­mi­na­ta­men­te la popo­la­zio­ne con spie­ta­ti bom­bar­da­men­ti a tap­pe­to, men­tre le vit­ti­me civi­li (che pur­trop­po, ine­vi­ta­bil­men­te, comun­que ci sono) risul­ta­no una per­cen­tua­le ridot­tis­si­ma rispet­to alle smi­su­ra­te per­di­te mili­ta­ri di cui abbia­mo già det­to[38].
Su que­sto infon­da­to argo­men­to le poten­ze impe­ria­li­ste occi­den­ta­li han­no costrui­to la loro “pro­xy war” con­tro la Rus­sia: e que­sto non desta in noi par­ti­co­la­re scan­da­lo. Ci scan­da­liz­za inve­ce che quel­lo stes­so argo­men­to, infioc­chet­ta­to con una fra­seo­lo­gia “mar­xi­sta” a buon mer­ca­to, abbia rap­pre­sen­ta­to la base su cui quei socia­lim­pe­ria­li­sti han­no costrui­to, in nome di un mar­xi­smo cial­tro­ne­sco, la nar­ra­zio­ne del con­flit­to in Ucrai­na come una “guer­ra di libe­ra­zio­ne nazio­na­le”, implo­ran­do dai loro rispet­ti­vi impe­ria­li­smi la con­se­gna alla “resi­sten­za” di quan­ti­ta­ti­vi sem­pre mag­gio­ri di armi (e sem­pre più distrut­ti­ve), in nome, appun­to, del “prin­ci­pio di auto­de­ter­mi­na­zio­ne”. Ma il fat­to è che in nome di que­sto “prin­ci­pio” essi han­no sol­tan­to con­dan­na­to a mor­te deci­ne e deci­ne di miglia­ia di gio­va­ni ucrai­ni reclu­ta­ti a viva for­za, vesti­ti da sol­da­to e man­da­ti al macel­lo sen­za alcun tipo di pre­pa­ra­zio­ne militare.

Alcu­ni spun­ti teo­ri­ci per la carat­te­riz­za­zio­ne del­la guerra
L’argomento di quel­la ucrai­na come “guer­ra nazio­na­le”, che ciar­la­ta­ni e ven­di­to­ri di chiac­chie­re pro­pa­la­no oggi, è sta­to fat­to a pez­zi da Lenin più di cent’anni fa.
Era appe­na ini­zia­ta l’aggressione dell’Austria-Ungheria alla Ser­bia – epi­so­dio che avreb­be poi sca­te­na­to la Pri­ma Guer­ra mon­dia­le – e Lenin si tro­vò a com­bat­te­re le stes­se obie­zio­ni e a fusti­gar­ne i soste­ni­to­ri (con la dif­fe­ren­za che quel­li di allo­ra era­no alme­no teo­ri­ci di spes­so­re e di lun­ga tra­iet­to­ria, e non già impo­sto­ri come colo­ro che oggi ne ripren­do­no i ragio­na­men­ti). Scri­ve­va Lenin:

«Un nuo­vo sofi­sma e un nuo­vo ingan­no per gli ope­rai: vede­te, la guer­ra non è “pura­men­te” impe­ria­li­sta! […] Ma allo­ra che cosa dia­mi­ne è? Venia­mo a sape­re che essa è anche … nazio­na­le! […] la guer­ra attua­le … non libe­ra alcu­na nazio­ne e …, indi­pen­den­te­men­te dal suo esi­to, ne asser­vi­rà parec­chie […]. Il fat­to­re nazio­na­le del­la guer­ra ser­bo-austria­ca non ha e non può ave­re alcu­na seria impor­tan­za nel­la guer­ra euro­pea […] Per la Ser­bia, ossia per que­sta cen­te­si­ma par­te dei par­te­ci­pan­ti alla guer­ra odier­na, la guer­ra è la “con­ti­nua­zio­ne del­la poli­ti­ca” del movi­men­to di libe­ra­zio­ne bor­ghe­se. Per il resto (99 per cen­to) la guer­ra è la con­ti­nua­zio­ne del­la poli­ti­ca impe­ria­li­sta, ossia del­la poli­ti­ca di una bor­ghe­sia giun­ta allo sta­to di sene­scen­za, la qua­le è capa­ce di vio­len­ta­re le nazio­na­li­tà e non di libe­rar­le. […] Per­ciò, ram­men­ta­re che la guer­ra non è “pura­men­te” impe­ria­li­sta quan­do si trat­ta di un ver­go­gno­so ingan­no del­le “mas­se popo­la­ri” da par­te degli impe­ria­li­sti, i qua­li nascon­do­no deli­be­ra­ta­men­te i loro sco­pi di pura rapi­na con una fra­seo­lo­gia “nazio­na­le”, signi­fi­ca esse­re un pedan­te infi­ni­ta­men­te ottu­so oppu­re un fro­da­to­re e un imbro­glio­ne»[39].

Le ragio­ni di que­sta let­tu­ra in Lenin sono ovvie per chi si richia­ma dav­ve­ro al lega­to del bol­sce­vi­smo e dell’internazionalismo: l’analisi del­la guer­ra nel con­te­sto del­le dina­mi­che mon­dia­li che l’hanno pre­pa­ra­ta e l’esame di quel­le che l’accompagnano rap­pre­sen­ta­no il vero e fon­da­men­ta­le ele­men­to per la com­pren­sio­ne e l’esatto inqua­dra­men­to, sia del­lo spe­ci­fi­co aspet­to del­lo scon­tro mili­ta­re, sia del com­ples­si­vo pro­ces­so da cui ha trat­to ali­men­to e in cui si dipa­na. Resta­re vin­co­la­ti al sin­go­lo e con­giun­tu­ra­le fat­to­re del con­flit­to pre­so iso­la­ta­men­te non costi­tui­sce sol­tan­to la base per una tota­le incom­pren­sio­ne di quan­to sta acca­den­do, ma soprat­tut­to la scor­cia­to­ia per dislo­car­si alla coda del pro­prio impe­ria­li­smo sci­vo­lan­do irri­me­dia­bil­men­te nel socialsciovinismo.
È que­sta l’accusa che muo­via­mo a chi defi­ni­sce quel­la sul suo­lo ucrai­no una “guer­ra di libe­ra­zio­ne nazio­na­le” pri­vi­le­gian­do e asso­lu­tiz­zan­do l’elemento di chi ha aggre­di­to chi. E lo fac­cia­mo non con paro­le nostre, ma con quel­le di Lenin quan­do si tro­vò a dover carat­te­riz­za­re l’elemento dell’aggressione dell’Austria-Ungheria alla Serbia:

«L’elemento nazio­na­le, nel­la guer­ra attua­le, è rap­pre­sen­ta­to sola­men­te dal­la guer­ra del­la Ser­bia con­tro l’Austria […]. Se que­sta guer­ra fos­se iso­la­ta, vale a dire non col­le­ga­ta con la guer­ra euro­pea e con gli avi­di sco­pi di rapi­na dell’Inghilterra, del­la Rus­sia, ecc., tut­ti i socia­li­sti avreb­be­ro l’obbligo di desi­de­ra­re il suc­ces­so del­la bor­ghe­sia ser­ba. Que­sta è l’unica dedu­zio­ne giu­sta e asso­lu­ta­men­te indi­spen­sa­bi­le, deri­van­te dal fat­to­re nazio­na­le del­la guer­ra attua­le»[40].

Biso­gna esse­re pro­prio acce­ca­ti dal socia­lim­pe­ria­li­smo per non com­pren­de­re che

«tut­ta la sto­ria eco­no­mi­ca e diplo­ma­ti­ca degli ulti­mi decen­ni dimo­stra che i due grup­pi di nazio­ni bel­li­ge­ran­ti han­no … pre­pa­ra­to siste­ma­ti­ca­men­te una guer­ra di que­sto gene­re […]. La que­stio­ne: qua­le è sta­to il grup­po che ha sfer­ra­to il pri­mo col­po mili­ta­re o che ha dichia­ra­to per pri­mo la guer­ra, non ha nes­su­na impor­tan­za nel­la deter­mi­na­zio­ne del­la tat­ti­ca dei socia­li­sti. Le fra­si sul­la dife­sa del­la patria, sul­la resi­sten­za all’invasione nemi­ca, sul­la guer­ra di dife­sa, ecc., sono, da ambo le par­ti, tut­ti rag­gi­ri per ingan­na­re il popo­lo»[41].

Chi abbia dav­ve­ro voglia di esa­mi­na­re i fat­to­ri real­men­te cau­sa­li dell’attuale con­flit­to, e non inve­ce cede­re a un’analisi impres­sio­ni­sta ed eclet­ti­ca basa­ta sol­tan­to su quel­li con­giun­tu­ra­li, può tro­va­re negli even­ti del 1914 e nel­le ana­lo­gie con quan­to acca­de oggi un pre­zio­so aiuto:

«Nel con­si­de­ra­re la situa­zio­ne nel suo com­ples­so non biso­gna pen­sa­re che tut­to fos­se comin­cia­to con l’assassinio di Sara­je­vo; quel­la situa­zio­ne va vista inve­ce come la fase fina­le di una guer­ra fred­da inter­na­zio­na­le mol­to com­ples­sa, che si pro­trae­va ormai da parec­chi anni peg­gio­ran­do di gior­no in gior­no, e che da tem­po i diri­gen­ti socia­li­sti stu­dia­va­no con sem­pre mag­gio­re pre­oc­cu­pa­zio­ne. Die­tro la con­tro­ver­sia austro-ser­ba c’era la lun­ga sto­ria del­le riva­li­tà impe­ria­li­sti­che nei Bal­ca­ni, in cui era­no impli­ca­te non solo la Rus­sia e l’Austria-Ungheria, ma anche la Ger­ma­nia e la Gran Bre­ta­gna […]»[42].

Dal can­to suo, Tro­tsky espres­se – con anco­ra mag­gior chia­rez­za, se pos­si­bi­le – lo stes­so tipo di con­si­de­ra­zio­ni per offri­re una chia­ve di let­tu­ra cor­ret­ta del­la guerra:

«Il carat­te­re del­la guer­ra non è deter­mi­na­to dall’episodio ini­zia­le in sé (“vio­la­zio­ne del­la neu­tra­li­tà”, “inva­sio­ne nemi­ca”, ecc.), ben­sì dal­le prin­ci­pa­li for­ze motri­ci del­la guer­ra, da tut­to il suo svi­lup­po e dal­le con­se­guen­ze che essa alla fine com­por­ta. […] Il nostro atteg­gia­men­to nei con­fron­ti del­la guer­ra non è deter­mi­na­to dal­la for­mu­la lega­li­sti­ca dell’“aggressione”, ben­sì dal­la que­stio­ne di qua­le clas­se con­du­ce la guer­ra e per qua­li sco­pi. In un con­flit­to tra Sta­ti, pro­prio come nel­la lot­ta di clas­se, quel­le dell’“aggressione” e del­la “dife­sa” sono sol­tan­to que­stio­ni di oppor­tu­ni­tà pra­ti­ca e non di nor­ma giu­ri­di­ca o eti­ca. Il sem­pli­ce cri­te­rio di aggres­sio­ne rap­pre­sen­ta una pez­za d’appoggio per la poli­ti­ca social­pa­triot­ti­ca […]»[43].

E allo­ra, non pos­sia­mo con­clu­de­re su que­sto pun­to sen­za met­te­re in rilie­vo quel­la che dovreb­be esse­re la bus­so­la per i mar­xi­sti di fron­te alla guerra:

«Per defi­ni­re in ogni caso con­cre­to la natu­ra sto­ri­ca e socia­le di una guer­ra non biso­gna basar­si su impres­sio­ni e con­giun­tu­re, ma sull’analisi scien­ti­fi­ca del­la poli­ti­ca che ha pre­ce­du­to e con­di­zio­na­to il con­flit­to stes­so»[44].

Le prin­ci­pa­li for­ze motri­ci del­la guer­ra: dal ver­san­te russo …
Dun­que, per quan­to sin qui det­to, rite­nia­mo neces­sa­rio rimar­ca­re il cri­te­rio pro­po­sto da Tro­tsky, e cioè appro­fon­di­re lo stu­dio del­le “prin­ci­pa­li for­ze motri­ci del­la guer­ra”, ana­liz­zar­ne la dina­mi­ca di svi­lup­po – e cioè “la poli­ti­ca che l’ha pre­ce­du­ta e con­di­zio­na­ta” – e ipo­tiz­za­re così le con­se­guen­ze che ne discenderanno.
Sareb­be dun­que ridut­ti­vo limi­tar­ci all’esame del­le con­di­zio­ni geo­po­li­ti­che su cui pure ci sia­mo lun­ga­men­te sof­fer­ma­ti nei para­gra­fi che pre­ce­do­no. Dal nostro pun­to di vista, il cam­po di inda­gi­ne è chia­ra­men­te più ampio, e que­sto ci dif­fe­ren­zia dal­le orga­niz­za­zio­ni le qua­li con­si­de­ra­no che l’elemento carat­te­riz­zan­te – se non addi­rit­tu­ra l’unico – dell’attuale con­flit­to sia lo scon­tro fra “un aggres­so­re e un aggre­di­to” nel qua­dro di una “guer­ra di libe­ra­zio­ne nazio­na­le”: iso­la­re e asso­lu­tiz­za­re – come esse fan­no – il fat­to­re nazio­na­le ha come sola con­se­guen­za la capi­to­la­zio­ne all’imperialismo di casa pro­pria. E già: per­ché la con­clu­sio­ne “logi­ca” di una nar­ra­zio­ne imper­nia­ta sul “dirit­to di auto­de­ter­mi­na­zio­ne” di una nazio­ne aggre­di­ta e sul “soste­gno alla resi­sten­za” non può che esse­re la richie­sta al pro­prio impe­ria­li­smo di for­nir­le armi, diven­tan­do così – come abbia­mo avu­to già modo di soste­ne­re – il vago­ne di coda di quest’ultimo e vol­tan­do le spal­le all’internazionalismo e al prin­ci­pio di indi­pen­den­za di clas­se, e per­ciò stes­so abban­do­nan­do defi­ni­ti­va­men­te il cam­po rivoluzionario.
La real­tà, inve­ce, rac­con­ta un’altra sto­ria: il fat­to­re nazio­na­le del con­flit­to sul suo­lo ucrai­no rap­pre­sen­ta sol­tan­to una tes­se­ra – e nem­me­no la più impor­tan­te – del mosai­co di una guer­ra impe­ria­li­sta da ambo i lati (ovve­ro, inte­rim­pe­ria­li­sta) in cui si fron­teg­gia­no, da una par­te, la Rus­sia (con, sul­lo sfon­do e mol­to defi­la­ta, la Cina, che atten­de il momen­to favo­re­vo­le per met­te­re in cam­po il pro­prio pro­ta­go­ni­smo) e, dall’altra, il bloc­co di poten­ze occi­den­ta­li Usa-Nato-Ue, con Kiev a svol­ge­re il ruo­lo di fan­te­ria per con­to di quest’ultimo in una guer­ra per pro­cu­ra (o “pro­xy war”).
Lenin spie­ga­va che il trat­to carat­te­ri­sti­co del capi­ta­li­smo giun­to alla sua fase impe­ria­li­sta è dato dal domi­nio e dal­la vio­len­za attra­ver­so cui que­sto vie­ne eser­ci­ta­to. Soste­ne­va inol­tre l’attualità del­la spar­ti­zio­ne defi­ni­ti­va del mon­do fra le gran­di poten­ze: «defi­ni­ti­va, non già nel sen­so che sia impos­si­bi­le una nuo­va spar­ti­zio­ne – ché anzi nuo­ve spar­ti­zio­ni sono pos­si­bi­li e ine­vi­ta­bi­li – ma nel sen­so che la poli­ti­ca colo­nia­le dei pae­si capi­ta­li­sti­ci ha con­dot­to a ter­mi­ne l’ar­raf­fa­men­to di ter­re non occu­pa­te sul nostro pia­ne­ta. Il mon­do per la pri­ma vol­ta appa­re com­ple­ta­men­te ripar­ti­to, sic­ché in avve­ni­re sarà pos­si­bi­le sol­tan­to una nuo­va spar­ti­zio­ne, cioè il pas­sag­gio da un “padro­ne” a un altro, ma non dal­lo sta­to di non occu­pa­zio­ne a quel­lo di appar­te­nen­za ad un “padro­ne”»[45].
È evi­den­te che il qua­dro glo­ba­le entro cui si sta svi­lup­pan­do il con­flit­to in Ucrai­na mostra le linee di ten­den­za di una fero­ce lot­ta per una nuo­va spar­ti­zio­ne del mon­do. E allo­ra, se è vero che, come abbia­mo det­to all’inizio di que­sto scrit­to, la guer­ra è la con­ti­nua­zio­ne del­la poli­ti­ca con altri mez­zi, dia­mo uno sguar­do alle poli­ti­che degli atto­ri di que­sta vicenda.

(Pro­get­ti di spar­ti­zio­ne del mondo)

Dopo la restau­ra­zio­ne del capi­ta­li­smo nell’Unione Sovie­ti­ca, il suo suc­ces­si­vo col­las­so e, infi­ne, la sua esplo­sio­ne in Sta­ti che non era­no più lega­ti dal vin­co­lo del c.d. “socia­li­smo rea­le”, ven­ne meno il pre­ca­rio equi­li­brio del­la Guer­ra Fred­da fra l’Urss e gli Sta­ti Uni­ti. La disin­te­gra­zio­ne del­lo Sta­to sor­to dal­la Rivo­lu­zio­ne del 1917 aprì la stra­da, con l’apertura di nuo­vi mer­ca­ti, a una nuo­va ripar­ti­zio­ne del mon­do, nel­la qua­le la par­te del leo­ne era asse­gna­ta agli impe­ria­li­smi occi­den­ta­li. Pro­gres­si­va­men­te, diver­si degli Sta­ti che ave­va­no for­ma­to par­te dell’ex impe­ro sovie­ti­co entra­ro­no nell’orbita degli Usa e del­le poten­ze euro­pee, sia da un pun­to di vista eco­no­mi­co che mili­ta­re. In que­sto sen­so, pos­sia­mo dire che il capi­ta­li­smo mon­dia­le recu­pe­rò al mer­ca­to gran par­te dell’ex Urss, la cui dis­so­lu­zio­ne ha rap­pre­sen­ta­to un’opportunità per il capi­ta­li­smo impe­ria­li­sta degli Sta­ti Uni­ti (con al segui­to le bor­ghe­sie capi­ta­li­ste occi­den­ta­li) di uti­liz­za­re il pro­prio pote­re mili­ta­re per sta­bi­li­re un domi­nio sen­za riva­li in tut­to il mon­do[46]. Resta­va fuo­ri dal­la ridi­slo­ca­zio­ne dei Pae­si appar­te­nu­ti all’ex Urss il boc­co­ne più gros­so e appe­ti­to­so, rap­pre­sen­ta­to dal­la Rus­sia: un Pae­se gigan­te­sco e ric­co di mate­rie pri­me, nel qua­le però la restau­ra­zio­ne del capi­ta­li­smo ave­va crea­to una bor­ghe­sia arre­tra­ta (in gran­dis­si­ma par­te for­gia­ta­si sul­le spo­glie del­la vec­chia nomen­kla­tu­ra del Pcus) e che ave­va appe­na ini­zia­to la pro­pria “accu­mu­la­zio­ne ori­gi­na­ria”[47] sul­la base del­la pro­gres­si­va liqui­da­zio­ne (addi­rit­tu­ra da pri­ma del­la dis­so­lu­zio­ne dell’Urss) del­le vec­chie for­me di pro­prie­tà col­let­ti­va deri­van­ti dal­la Rivo­lu­zio­ne del 1917, non­ché del­la loro suc­ces­si­va appro­pria­zio­ne da par­te di vec­chi diri­gen­ti del par­ti­to e diret­to­ri del­le impre­se. Per que­sto il neo-capi­ta­li­smo rus­so non pote­va mini­ma­men­te com­pe­te­re sul mer­ca­to mon­dia­le con quel­lo occidentale.
Tut­ta­via, col pas­sa­re del tem­po – e soprat­tut­to a par­ti­re dall’inizio del­la “era Putin”[48] – la Rus­sia ha comin­cia­to a vol­ge­re le pro­prie “atten­zio­ni” e mire impe­ria­li­ste[49], dal ristret­to baci­no regio­na­le dei Pae­si del Cau­ca­so e dell’Asia cen­tra­le dell’ex Unio­ne Sovie­ti­ca (che ha trat­te­nu­to nel­la pro­pria orbi­ta anche gra­zie allo smi­su­ra­to appa­ra­to bel­li­co ere­di­ta­to dall’Urss), ad altre regio­ni del mon­do, for­te soprat­tut­to dell’esportazione del­le pro­prie risor­se ener­ge­ti­che: gas, petro­lio e mine­ra­li rari sono sta­ti il “lac­cio” con cui la Rus­sia ha via via lega­to a sé diver­si Pae­si, soprat­tut­to quel­li dell’Unione euro­pea, deter­mi­nan­do quel­la che oggi, dopo lo scop­pio del­la guer­ra, è sta­ta chia­ma­ta la “dipen­den­za ener­ge­ti­ca”. Una “dipen­den­za” da cui l’Europa sta ten­tan­do dispe­ra­ta­men­te di libe­rar­si, ma ad un prez­zo inso­ste­ni­bi­le per la sua eco­no­mia[50]. A ciò aggiun­gia­mo la “effer­ve­scen­te” poli­ti­ca este­ra di Mosca, tut­ta tesa a con­clu­de­re accor­di com­mer­cia­li e infra­strut­tu­ra­li in diver­se zone del mon­do, nel­le qua­li si va così a sosti­tui­re agli Usa nel ruo­lo che essi pri­ma vi svol­ge­va­no, pren­den­do l’iniziativa ed eser­ci­tan­do un’influenza fino ad ora appan­nag­gio di Washington.
È evi­den­te che, con l’ingresso sul mer­ca­to mon­dia­le di un nuo­vo e aggres­si­vo atto­re eco­no­mi­co dal­la smi­su­ra­ta poten­za mili­ta­re, il mon­do “si è fat­to più stret­to”. E per­ché si è fat­to più stret­to? Per­ché con la sua poli­ti­ca di pro­ie­zio­ne eco­no­mi­ca, com­mer­cia­le e di acqui­si­zio­ne di sem­pre mag­gio­ri sfe­re di influen­za, la Rus­sia sta met­ten­do in discus­sio­ne (insie­me alla Cina, che però sta per il momen­to uti­liz­zan­do altri meto­di) l’ordine libe­ra­le che abbia­mo fin qui cono­sciu­to[51]: il suo obiet­ti­vo è por­re fine al mon­do “uni­po­la­re” sot­to il domi­nio sta­tu­ni­ten­se per sosti­tuir­lo con uno “mul­ti­po­la­re”. Per Mosca, la guer­ra in Ucrai­na è sol­tan­to il sot­to­pro­dot­to del­la sua poli­ti­ca di riap­pro­pria­zio­ne di uno spa­zio indi­spen­sa­bi­le per il pro­prio svi­lup­po come poten­za glo­ba­le e di fuo­riu­sci­ta dal ruo­lo subor­di­na­to asse­gna­to­le ai mar­gi­ni del siste­ma occi­den­ta­le: e, dun­que, è la con­ti­nua­zio­ne di que­sta poli­ti­ca “con altri mez­zi”[52].

… e da quel­lo statunitense
Per gli Usa “la poli­ti­ca che ha pre­ce­du­to e con­di­zio­na­to” la guer­ra è sim­me­tri­ca­men­te oppo­sta a quel­la russa.
Lo sta­gliar­si sul­lo sfon­do glo­ba­le del­la poten­te cre­sci­ta (eco­no­mi­ca, tec­no­lo­gi­ca e mili­ta­re) del­la Cina – il cui espan­sio­ni­smo sta pro­gres­si­va­men­te sfi­dan­do gli inte­res­si di Washing­ton nell’area indo-paci­fi­ca – e il pro­ta­go­ni­smo com­mer­cia­le del­la Ger­ma­nia in una Unio­ne euro­pea a tra­zio­ne tede­sca han­no ini­zia­to a minac­cia­re l’egemonia sta­tu­ni­ten­se, già mina­ta dal­la cri­si capi­ta­li­sta del 2008 e aggra­va­ta poi dal­la pan­de­mia e dal­la cri­si ambientale.
Dopo il crol­lo del mer­ca­to immo­bi­lia­re sta­tu­ni­ten­se e la gra­ve cri­si del cre­di­to nel set­to­re ban­ca­rio occi­den­ta­le, il gover­no cine­se, insie­me alla Rus­sia e ad altri Pae­si del Sud del mon­do, deci­se di crea­re una piat­ta­for­ma indi­pen­den­te dai mer­ca­ti del Nord Ame­ri­ca e dell’Europa. Que­sta piat­ta­for­ma, nata nel 2009, pre­se il nome di Brics, dal­le ini­zia­li di Bra­si­le, Rus­sia, India, Cina e Suda­fri­ca[53]: cin­que gran­di Pae­si in rapi­da cre­sci­ta eco­no­mi­ca e in gra­do di espri­me­re una signi­fi­ca­ti­va influen­za poli­ti­ca. L’obiettivo di que­sti Pae­si è di modi­fi­ca­re l’architettura del siste­ma finan­zia­rio inter­na­zio­na­le, basa­to sul dol­la­ro come pila­stro dell’egemonia sta­tu­ni­ten­se[54].
Ma in segui­to, nel 2013, Pechi­no ha anche annun­cia­to il varo del­la “Belt and Road Ini­tia­ti­ve”, cioè una stra­te­gia glo­ba­le di svi­lup­po del­le inter­con­nes­sio­ni del­le infra­strut­tu­re di diver­si Pae­si per favo­ri­re l’interscambio com­mer­cia­le, gra­zie alla qua­le la Cina ha riven­di­ca­to per sé il ruo­lo di pri­mat­to­re glo­ba­le nel com­mer­cio mon­dia­le abban­do­nan­do quel­lo di “fab­bri­ca del mon­do” in cui era sta­ta per trop­pi anni rele­ga­ta: l’idea di fon­do è l’espansione dell’influenza cine­se tra Afri­ca, Asia ed Euro­pa attra­ver­so l’investimento di cen­ti­na­ia di miliar­di di dol­la­ri in ope­re infra­strut­tu­ra­li nei Pae­si che ver­ran­no attra­ver­sa­ti dal­la “Via del­la Seta”.
Intan­to, la c.d. “ost­po­li­tik” tede­sca, cioè il pro­gram­ma di poli­ti­ca este­ra ini­zia­to da Wil­ly Brandt e poi rimo­du­la­to da Gerhard Schrö­der e da Ange­la Mer­kel, sta­va dan­do luo­go ad un rap­por­to com­mer­cia­le pri­vi­le­gia­to tra Ber­li­no e Mosca che è sta­to per mol­ti anni alla base del­la feno­me­na­le espan­sio­ne del­la Ger­ma­nia: un’espansione che l’ha resa il Pae­se trai­nan­te di una Ue che Washing­ton comin­cia­va a per­ce­pi­re trop­po “indi­pen­den­te” per i suoi gusti (leg­gi: interessi).
Sul­lo sfon­do di que­ste ini­zia­ti­ve, insom­ma, si pote­va intra­ve­de­re un accen­tua­to pro­ces­so di inte­gra­zio­ne euroa­sia­ti­ca: ed è sta­to pro­prio que­sto a far sì che gli Usa si sen­tis­se­ro minac­cia­ti nel loro dise­gno ege­mo­ni­co, come stret­ti in una tena­glia. Da qui il pro­get­to di inde­bo­li­re la Cina inde­bo­len­do la Rus­sia: distrug­ge­re oggi (ne par­le­re­mo tra poco) la Rus­sia per rego­la­re doma­ni i con­ti con la Cina. In que­sto sen­so, l’insistenza sta­tu­ni­ten­se sull’integrazione dell’Ucraina nel­la Nato ha rap­pre­sen­ta­to alla per­fe­zio­ne il pan­no ros­so agi­ta­to sot­to il muso del “toro moscovita”.
Di fron­te alla pre­te­sa di Mosca di usci­re dai ristret­ti ran­ghi di poten­za regio­na­le per assur­ge­re al livel­lo di rico­no­sciu­ta poten­za mon­dia­le per com­pe­te­re da pari a pari con gli impe­ria­li­smi occi­den­ta­li, Washing­ton non ha sol­tan­to l’obiettivo, per­se­gui­to attra­ver­so la guer­ra per pro­cu­ra sul ter­re­no ucrai­no, di inde­bo­li­re e ren­de­re per sem­pre inno­cua la Rus­sia[55]. Ha inve­ce un pro­get­to ben più ampio che già da lun­go tem­po è in discus­sio­ne: la c.d. “deco­lo­niz­za­zio­ne” del­la Russia.
Si trat­ta, in buo­na sostan­za, di un dise­gno ten­den­te a fram­men­ta­re l’attuale Fede­ra­zio­ne rus­sa in 35 sta­te­rel­li fon­da­ti sul­le etnie che li popo­la­no – pre­via, ovvia­men­te, la cadu­ta dell’attuale regi­me cen­tra­le di Mosca[56]. Lo sco­po ulti­mo, è chia­ro, con­si­ste nell’eliminare una poten­za riva­le fra­zio­nan­do­la in tan­ti nazio­na­li­smi da aiz­za­re gli uni con­tro gli altri per poter man­te­ne­re divi­se e domi­na­re poli­ti­ca­men­te ed eco­no­mi­ca­men­te la ple­to­ra di arti­fi­cia­li espres­sio­ni geo­gra­fi­che che ne risul­te­reb­be­ro e che ver­reb­be­ro nel loro insie­me recu­pe­ra­te al mer­ca­to mon­dia­le, assi­cu­ran­do­si il con­trol­lo – ça va sans dire – del­le smi­su­ra­te risor­se che il sot­to­suo­lo dell’attuale Rus­sia nascon­de[57].

Usa-Ue-Rus­sia: la guer­ra impe­ria­li­sta. Anzi, tre guerre
Ma se per l’imperialismo sta­tu­ni­ten­se il mon­do anda­va facen­do­si sem­pre più stret­to a cau­sa del­la con­cor­ren­za del­la Cina e del­la Rus­sia, un ulte­rio­re ele­men­to di distur­bo si sta­va pro­fi­lan­do: un sia pure incom­piu­to e zop­pi­can­te raf­for­za­men­to dell’Unione euro­pea, trai­na­ta dal­la poten­za eco­no­mi­ca del­la Ger­ma­nia e dal­le sma­nie di pro­ta­go­ni­smo mili­ta­re del­la Fran­cia. In un qua­dro di cri­si eco­no­mi­ca glo­ba­le, la pre­sen­za di un ulte­rio­re “com­pe­ti­tor” di peso, e per di più nel cam­po allea­to, non era pro­prio con­fa­cen­te agli inte­res­si di Washington.
Gli Usa era­no non poco infa­sti­di­ti dall’atteggiamento del­la Fran­cia nei con­fron­ti del­la Nato. Il pre­si­den­te fran­ce­se Macron non si era fat­to scru­po­lo di rila­scia­re una tran­cian­te affer­ma­zio­ne secon­do la qua­le il Pat­to atlan­ti­co ver­sa­va in uno sta­to di “mor­te cere­bra­le”, sic­ché sareb­be sta­to neces­sa­rio, da un lato, costrui­re «l’Europa del­la dife­sa: un’Europa che deve acqui­si­re auto­no­mia stra­te­gi­ca e di capa­ci­tà sul pia­no mili­ta­re. E dall’altro, ria­pri­re un dia­lo­go stra­te­gi­co, sen­za alcu­na inge­nui­tà e che richie­de­rà tem­po, con la Rus­sia»[58]. L’idea dell’Eliseo – se non liqui­da­re, quan­to­me­no met­te­re in secon­do pia­no l’Alleanza a van­tag­gio di una sor­ta di “eman­ci­pa­zio­ne” mili­ta­re (e comun­que poli­ti­ca) del Vec­chio Con­ti­nen­te – allar­mò non poco Washing­ton, che inve­ce, in osse­quio alla sua anti­ca dot­tri­na vara­ta da Paul Wol­fo­wi­tz[59], con­si­de­ra­va l’Europa come un’imprescindibile base mili­ta­re di sua pro­prie­tà: «[…] È di fon­da­men­ta­le impor­tan­za pre­ser­va­re la Nato come prin­ci­pa­le stru­men­to di dife­sa e sicu­rez­za occi­den­ta­le, non­ché come cana­le per l’influenza e la par­te­ci­pa­zio­ne degli Sta­ti Uni­ti negli affa­ri di sicu­rez­za euro­pei. Men­tre gli Sta­ti Uni­ti sosten­go­no l’obiettivo dell’integrazione euro­pea, dob­bia­mo cer­ca­re di pre­ve­ni­re l’emergere di accor­di di sicu­rez­za esclu­si­va­men­te euro­pei che mine­reb­be­ro la Nato, in par­ti­co­la­re la strut­tu­ra di coman­do inte­gra­ta dell’alleanza». E, in que­sto sen­so, l’invasione rus­sa dell’Ucraina ha rap­pre­sen­ta­to una ghiot­ta oppor­tu­ni­tà per riba­di­re l’egemonia poli­ti­co-eco­no­mi­co-mili­ta­re degli Usa sull’Europa.
Dal can­to suo, la Ger­ma­nia si era da tem­po resa inter­pre­te, come abbia­mo accen­na­to, di una “ost­po­li­tik” decli­na­ta in chia­ve di lucro­sa aper­tu­ra com­mer­cia­le ver­so la Rus­sia (for­ni­tu­ra di gas a bas­so costo) per favo­ri­re gli inte­res­si indu­stria­li e com­mer­cia­li del­la pro­pria bor­ghe­sia, gra­zie alla qua­le ha con­so­li­da­to nel lun­go perio­do il suo ruo­lo di “loco­mo­ti­va d’Europa”: una poli­ti­ca, insom­ma, mes­sa in pra­ti­ca su un pia­no di gran­de auto­no­mia, tan­to che già al tem­po del­le san­zio­ni a Mosca per l’annessione del­la Cri­mea, Ange­la Mer­kel ave­va ini­zia­to a gio­ca­re per con­to suo la par­ti­ta ener­ge­ti­ca, pre­oc­cu­pa­ta per le con­se­guen­ze che sareb­be­ro deri­va­te dall’approfondirsi del­lo scon­tro fra Occi­den­te e Rus­sia. E fu per que­sta ragio­ne che Frank-Wal­ter Stein­meier, all’epoca mini­stro degli Este­ri tede­sco, si era oppo­sto già allo­ra alle san­zio­ni invi­tan­do al dia­lo­go con Mosca. La stes­sa ragio­ne che indus­se poi Mer­kel – quan­do si rese con­to che Putin, in rispo­sta alle san­zio­ni, ave­va con­clu­so un accor­do com­mer­cia­le con la Cina del valo­re di ben 456 miliar­di di dol­la­ri per rifor­nir­la con 38 miliar­di di metri cubi di gas all’anno per i suc­ces­si­vi trent’anni – a pren­de­re diret­ta­men­te nel­le sue mani la que­stio­ne dell’approvvigionamento dell’Europa con il gas rus­so con­clu­den­do un accor­do com­mer­cia­le con la Rus­sia, nego­zia­to fra il com­mis­sa­rio euro­peo respon­sa­bi­le per l’energia, il tede­sco Gün­ther Her­mann Oet­tin­ger, e il mini­stro dell’Energia rus­so, Ale­xan­der Novak[60].
Ma non era solo la pri­ma­zia poli­ti­co-eco­no­mi­ca di Ber­li­no sull’Europa a pre­oc­cu­pa­re gli Sta­ti Uni­ti. Anche la volon­tà tede­sca di pro­ce­de­re a un for­te riar­mo – desti­nan­do alle for­ze arma­te 107 miliar­di di dol­la­ri subi­to e più del 2% annuo del Pil per ren­de­re la Bun­de­swehr il più gran­de e moder­no degli eser­ci­ti del­la Nato[61] – costi­tui­va un ele­men­to di inquie­tu­di­ne. Gli Usa han­no senz’altro biso­gno di una for­te Ger­ma­nia in Euro­pa. Ma una “for­te Ger­ma­nia” non signi­fi­ca affat­to una “Ger­ma­nia for­te”: «dal­la pro­spet­ti­va di Washing­ton, la Ger­ma­nia è la chia­ve per domi­na­re l’Europa dal suo inter­no, uno sno­do irri­nun­cia­bi­le per subor­di­na­re la tra­iet­to­ria vete­ro­con­ti­nen­ta­le alle pro­prie occor­ren­ze stra­te­gi­che»[62], sic­ché Ber­li­no deve esse­re un ele­men­to trai­nan­te dell’Europa nel­la dire­zio­ne degli inte­res­si sta­tu­ni­ten­si ma non costi­tui­re la base per una rina­sci­ta del vec­chio Sta­to prus­sia­no. Insom­ma, se l’America vuo­le d’ora in poi guar­da­re al Paci­fi­co, ha biso­gno di lascia­re l’Atlantico in buo­ne (e fede­li) mani.
Ecco per­ché Washing­ton ha col­to al volo l’occasione del­la guer­ra in Ucrai­na uti­liz­zan­do­la per “rego­la­re i con­ti” con que­sti fasti­dio­si pro­ta­go­ni­smi che obbli­ga­no il Pen­ta­go­no a tene­re aper­ti con­tem­po­ra­nea­men­te entram­bi i fron­ti, men­tre avreb­be biso­gno di dedi­car­si prin­ci­pal­men­te sul pri­mo dei due qua­dran­ti. Per­ciò, sin dall’invasione del 24 feb­bra­io la poli­ti­ca del Pen­ta­go­no si è con­cen­tra­ta mol­to sul­la disar­ti­co­la­zio­ne dell’Ue, in par­ti­co­la­re attra­ver­so un attac­co impe­ria­li­sti­co agli inte­res­si del­la Ger­ma­nia col­pen­do­la in ciò che ave­va di più caro: il rap­por­to com­mer­cia­le pri­vi­le­gia­to di Ber­li­no con Mosca fon­da­to sul­la for­ni­tu­ra di ener­gia a bas­so costo, con cui le indu­strie tede­sche han­no potu­to viag­gia­re a gon­fie vele facen­do del­la Ger­ma­nia una poten­za com­mer­cia­le imbat­ti­bi­le … sal­vo che per un uni­co pun­to debo­le: la dipen­den­za ener­ge­ti­ca dal­la Rus­sia. Ed è sta­to pro­prio su quel tal­lo­ne d’Achille che gli Usa han­no con­cen­tra­to la pro­pria azio­ne: bloc­can­do dap­pri­ma e poi facen­do sal­ta­re in aria il gasdot­to Nord Stream[63], han­no dato avvio alla dein­du­stria­liz­za­zio­ne tede­sca e ad un inde­bo­li­men­to com­ples­si­vo dell’intera Ue[64], che ora dipen­de in par­te pro­prio dagli Sta­ti Uni­ti per la for­ni­tu­ra, a prez­zi mol­to più alti, di Gnl (gas natu­ra­le lique­fat­to), di cui essi sono uno dei più gran­di pro­dut­to­ri. Se a ciò aggiun­gia­mo l’approvazione da par­te di Washing­ton del­la leg­ge deno­mi­na­ta “Ira” (Infla­tion reduc­tion act), con la qua­le le impre­se euro­pee ven­go­no “isti­ga­te” ad abban­do­na­re il Vec­chio Con­ti­nen­te per anda­re ad inve­sti­re oltreo­cea­no, favo­ri­te dal­la con­ces­sio­ne di enor­mi sus­si­di, il qua­dro dell’aggressione impe­ria­li­sta degli Sta­ti Uni­ti all’Europa è com­ple­to[65].

(Il sabo­tag­gio del gasdot­to Nord Stream)

In que­sto sen­so, dun­que, è più che evi­den­te che sul ter­re­no ucrai­no si sta com­bat­ten­do una guer­ra inte­rim­pe­ria­li­sta glo­ba­le com­po­sta da ben tre guer­re: quel­la impe­ria­li­sta di aggres­sio­ne sca­te­na­ta dal­la Rus­sia con l’invasione del 24 feb­bra­io 2022; quel­la, altret­tan­to impe­ria­li­sta, degli Usa, insie­me all’Ue nel qua­dro del­la Nato, con­tro la Rus­sia; infi­ne, quel­la non meno impe­ria­li­sta che gli Sta­ti Uni­ti, con il sup­por­to del­la Gran Bre­ta­gna, stan­no com­bat­ten­do con­tro la Ger­ma­nia (e, in misu­ra mino­re, la Fran­cia) per dimi­nuir­ne la capa­ci­tà trai­nan­te sul resto dell’Europa, inde­bo­len­do così l’insieme del Vec­chio Con­ti­nen­te affin­ché esso resti nei limi­ti di una mera piat­ta­for­ma per il dispie­ga­men­to degli inte­res­si eco­no­mi­ci e poli­ti­ci a livel­lo glo­ba­le del gen­dar­me impe­ria­li­sta statunitense.

Euro­pa: la gran­de sconfitta
Solo per inci­so, ci sareb­be da chie­der­si come mai la Ger­ma­nia, ini­zial­men­te mol­to rilut­tan­te a veder­si impor­re dagli Sta­ti Uni­ti la ces­sa­zio­ne del lucro­so rap­por­to com­mer­cia­le con la Rus­sia sul qua­le ave­va costrui­to tut­ta la pro­pria poten­za[66], abbia poi capi­to­la­to di fron­te alla volon­tà di Washing­ton di tron­ca­re quel cana­le pri­vi­le­gia­to; e come mai Scholz abbia chi­na­to il capo dinan­zi al pur poten­te allea­to d’oltreoceano sen­za leva­re una mini­ma pro­te­sta e get­tan­do nel­la spaz­za­tu­ra le rela­zio­ni rus­so-ger­ma­ni­che così amo­re­vol­men­te cura­te da Ange­la Mer­kel (la rivi­sta Politico.com ha ben descrit­to l’imbarazzato silen­zio del pre­mier tede­sco duran­te la con­fe­ren­za stam­pa in cui Biden pre­an­nun­cia­va quel­la che sareb­be sta­ta la fine del gasdot­to Nord Stream[67]).
Rispon­de­re a que­sto tema richie­de­reb­be un arti­co­lo spe­ci­fi­co. Bre­ve­men­te, pos­sia­mo dire qui che, a nostro avvi­so, la ragio­ne sta nel­la com­pe­ti­zio­ne e nel­le fri­zio­ni fra la Ger­ma­nia e la Polo­nia. Quest’ultima ha pro­get­ta­to di far diven­ta­re il pro­prio eser­ci­to il più gran­de e poten­te d’Europa, tan­to che gli esper­ti mili­ta­ri ame­ri­ca­ni già oggi par­la­no dell’ascesa di una nuo­va super­po­ten­za. Il bilan­cio 2023 ha pre­vi­sto una spe­sa di 20 miliar­di di euro per la Dife­sa (pari al 4% del Pil) e oggi le trup­pe polac­che con­ta­no 143.500 effet­ti­vi, con l’obiettivo di arri­va­re a 300.000 nei pros­si­mi dodi­ci anni. La clas­si­fi­ca Powe­rIn­dex, con cui vie­ne misu­ra­ta la poten­za di fuo­co dei vari Sta­ti, vede la Polo­nia al 20° posto, cin­que posti davan­ti alla Germania.
Gli Usa han­no guar­da­to con mol­to favo­re – ovvia­men­te in chia­ve anti-rus­sa – alla cre­sci­ta mili­ta­re dei polac­chi, psi­co­lo­gi­ca­men­te e mili­tar­men­te più moti­va­ti e incli­ni dei tede­schi allo scon­tro con la Rus­sia a cau­sa del­le pas­sa­te bur­ra­sco­se rela­zio­ni con l’ex Unio­ne Sovie­ti­ca. Ma intan­to anche la Ger­ma­nia, come abbia­mo visto nel testo, ha pro­gram­ma­to un for­te riar­mo. Ed è vero che Washing­ton ha cal­deg­gia­to e inco­rag­gia­to Ber­li­no in que­sto sen­so, ma resta­va pur sem­pre l’incognita del lega­me a filo dop­pio fra quest’ultima e Mosca. Una poten­za com­mer­cia­le euro­pea che si reg­ge su for­ti basi mili­ta­ri ma con rela­zio­ni pro­fon­de con la Rus­sia non pote­va cer­to ras­si­cu­ra­re gli Usa: il timo­re era che, se Ber­li­no aves­se avu­to la for­za – sen­ten­do­si di ave­re le spal­le coper­te dal soste­gno eco­no­mi­co deri­va­to­le dal­le rela­zio­ni com­mer­cia­li con Mosca – di libe­rar­si poli­ti­ca­men­te dell’influenza sta­tu­ni­ten­se, avreb­be potu­to met­te­re in discus­sio­ne l’intera poli­ti­ca ame­ri­ca­na in Euro­pa, con­ten­den­do a Washing­ton il pri­ma­to sul Vec­chio Con­ti­nen­te. E allo­ra gli Usa han­no appro­fit­ta­to del­le fri­zio­ni fra Ger­ma­nia e Polonia.
Quest’ultima, infat­ti, sta sem­pre più mani­fe­stan­do insof­fe­ren­za per il con­so­li­da­men­to dell’influenza tede­sca sul­la regio­ne e ha nuo­va­men­te tira­to in bal­lo la que­stio­ne del­le ripa­ra­zio­ni di guer­ra per le con­se­guen­ze dell’invasione e dell’occupazione nazi­sta: la richie­sta è di 1300 miliar­di di euro, che Ber­li­no ha pron­ta­men­te respin­to. Dal can­to suo, quest’ultima è insof­fe­ren­te rispet­to al pro­ta­go­ni­smo polac­co nel­la costru­zio­ne del­la piat­ta­for­ma infra­strut­tu­ra­le per la con­net­ti­vi­tà e la sicu­rez­za ener­ge­ti­ca deno­mi­na­ta “Three Seas Ini­tia­ti­ve”, che coin­vol­ge i Pae­si che si affac­cia­no sui tre mari (Nero, Bal­ti­co e Adria­ti­co) ma che taglia fuo­ri pro­prio la Germania.
Gli Sta­ti Uni­ti pun­ta­no parec­chio da un pun­to di vista mili­ta­re sul­la Polo­nia, che riten­go­no un allea­to più affi­da­bi­le del­la Ger­ma­nia, e anche più mani­po­la­bi­le in quan­to acce­ca­ta dal suo esse­re anti-rus­sa, seb­be­ne dal pun­to di vista poli­ti­co non sia­no e non pos­sa­no entra­re in sin­to­nia col suo gover­no iper-nazio­na­li­sta e rea­zio­na­rio. Met­ten­do l’uno con­tro l’altro i due Pae­si e attiz­zan­do i loro attri­ti, han­no ridot­to alla ragio­ne Ber­li­no che, nell’ottica di non per­de­re la cen­tra­li­tà poli­ti­ca qua­le ple­ni­po­ten­zia­rio di Washing­ton nell’Europa che ver­rà dopo la guer­ra, ha fini­to però per per­de­re quel­la eco­no­mi­ca. Era il prez­zo da paga­re in fun­zio­ne di un cal­co­lo poli­ti­co, sull’altare del qua­le però l’élite poli­ti­ca tede­sca si è subor­di­na­ta alla stra­te­gia geo­po­li­ti­ca statunitense.
E men­tre la stam­pa embed­ded inneg­gia ad un’Europa “mai così uni­ta come ades­so”, alcu­ne voci cri­ti­che ini­zia­no a levar­si evi­den­zian­do che «l’Ue sta finen­do i sol­di» a cau­sa del soste­gno alla guer­ra in Ucrai­na, del­lo stop al gas rus­so, dell’aumento del costo degli inte­res­si[68].
Il vero risul­ta­to è che ora gli Sta­ti Uni­ti, dopo aver­la disar­ti­co­la­ta, domi­na­no più di pri­ma l’Europa: uni­ta, appun­to, ma nel­la subor­di­na­zio­ne. Sic­ché, pos­sia­mo con­clu­de­re che, del­le tre guer­re che abbia­mo indi­vi­dua­to nel testo, quel­la con­tro l’Ue gli Usa l’hanno già vinta.

Le cri­si del 2008 e del 2020, il decli­no dell’egemonia sta­tu­ni­ten­se e il pro­get­to per un nuo­vo dominio
Il pano­ra­ma del­la guer­ra inte­rim­pe­ria­li­sta che stia­mo descri­ven­do – e che per il momen­to è cen­tra­ta sul qua­dran­te euro­peo, ma che sul­lo sfon­do lascia pre­ve­de­re un allar­ga­men­to a quel­lo indo-paci­fi­co in un perio­do che non è pos­si­bi­le pro­no­sti­ca­re – deve esse­re inqua­dra­to, come abbia­mo accen­na­to, nel­le linee di ten­den­za svi­lup­pa­te­si a par­ti­re dal­la cri­si capi­ta­li­sta del 2008 aggra­va­ta poi dal­la cri­si pan­de­mi­ca e da quel­la ambientale.
Fino allo scop­pio del­la pan­de­mia, la cri­si del 2008–2009 era sta­ta la più pro­fon­da e geo­gra­fi­ca­men­te più dif­fu­sa dal­la fine del­la Secon­da guer­ra mon­dia­le. Nel 2009 il pro­dot­to mon­dia­le sce­se del­lo 0,5% e quel­lo dei Pae­si avan­za­ti del 3,4%. Ma la cri­si del 2020 è sta­ta più pro­fon­da: il pro­dot­to glo­ba­le è sce­so del 3,1% e quel­lo dei Pae­si avan­za­ti del 4,5%. Men­tre la pri­ma fu cri­si di sovrap­pro­du­zio­ne e sovrac­cu­mu­la­zio­ne e il suo prin­ci­pa­le fat­to­re sca­te­nan­te furo­no gli Sta­ti Uni­ti, la secon­da ha col­pi­to in pie­no il pro­ces­so pro­dut­ti­vo, tra­sci­nan­do le eco­no­mie di deci­ne di Pae­si in una pro­fon­da reces­sio­ne. La dif­fu­sio­ne del virus ha col­pi­to diret­ta­men­te la for­za lavo­ro, essen­zia­le – dato l’attuale gra­do di svi­lup­po tec­no­lo­gi­co – per met­te­re in moto l’insieme del­le for­ze pro­dut­ti­ve e per far cir­co­la­re il pro­dot­to socia­le: e ciò ha deter­mi­na­to la cadu­ta del pro­dot­to, sic­ché si è sca­te­na­ta una cri­si sia dal lato dell’offerta che del­la doman­da (quest’ultima a cau­sa del­le restri­zio­ni impo­ste dal­la pan­de­mia stes­sa e per la cadu­ta dei redditi).
La natu­ra del­la cri­si del 2020 è sta­ta glo­ba­le, dal momen­to che, essen­do glo­ba­le la pro­du­zio­ne, glo­ba­le è sta­ta la spi­ra­le discen­den­te. Una dina­mi­ca alla qua­le nes­sun Pae­se è potu­to sfug­gi­re: uno qual­sia­si degli anel­li del­la cate­na inter­na­zio­na­le del valo­re che sia sta­to col­pi­to dagli effet­ti nega­ti­vi del­la cadu­ta li ha pro­pa­ga­ti al resto del­la cate­na, col­pen­do­la nel suo insieme.
La glo­ba­liz­za­zio­ne, su cui nei trent’anni dal­la fine del­la Guer­ra fred­da gli Sta­ti Uni­ti han­no costrui­to la loro ege­mo­nia neo­li­be­ra­le, non costi­tui­sce più il loro prin­ci­pio car­di­ne. Lo ha affer­ma­to lo scor­so 27 apri­le Jack Sul­li­van, con­si­glie­re per la Sicu­rez­za nazio­na­le, in un discor­so “sto­ri­co”[69], con­si­de­ran­do l’abbandono dei pre­sup­po­sti su cui si è ret­ta la glo­ba­liz­za­zio­ne: l’integrazione eco­no­mi­ca, la dein­du­stria­liz­za­zio­ne degli Sta­ti Uni­ti a van­tag­gio del capi­ta­le finan­zia­rio, l’eccessiva fede nel­le vir­tù del libe­ro scam­bio. Il bilan­cio di Sul­li­van rispet­to a que­sta poli­ti­ca è nega­ti­vo: la clas­se media sta­tu­ni­ten­se si è impo­ve­ri­ta, il Pae­se ha per­so il van­tag­gio indu­stria­le sul resto del mon­do, il suo pri­ma­to tec­no­lo­gi­co è sta­to ero­so, l’ordine eco­no­mi­co che era sta­to costrui­to su quei pre­sup­po­sti ha crea­to un peri­co­lo­so con­cor­ren­te, sia dal pun­to di vista eco­no­mi­co che mili­ta­re: la Cina.
Il pro­get­to pen­sa­to per inau­gu­ra­re una nuo­va epo­ca pun­ta ad un for­te pro­ces­so di rein­du­stria­liz­za­zio­ne attra­ver­so il pri­ma­to del­la sicu­rez­za nazio­na­le: la mani­fat­tu­ra sta­tu­ni­ten­se ha biso­gno di quel­le mate­rie pri­me (mine­ra­li e ter­re rare) che oggi sono appan­nag­gio del­la Cina e di quei com­po­nen­ti (chip e bat­te­rie) essen­zia­li per i set­to­ri indu­stria­li su cui si basa la sicu­rez­za nazio­na­le[70]. Ma si trat­ta di un pri­ma­to che gli Usa non pos­so­no rag­giun­ge­re da soli, per cui tut­ti gli allea­ti dovran­no esse­re coin­vol­ti nel­la costru­zio­ne di filie­re pro­dut­ti­ve e di approv­vi­gio­na­men­to sicu­re – e cioè, a pro­va di Cina – nei set­to­ri inno­va­ti­vi. E tut­to ciò pun­ta, natu­ral­men­te, all’isolamento di Pechi­no da quei set­to­ri in modo da neu­tra­liz­zar­la impe­den­do­le non solo di diven­ta­re ancor più poten­te da un pun­to di vista mili­ta­re, ma anche di crea­re rela­zio­ni inter­na­zio­na­li che favo­ri­sca­no le sue sfe­re di influenza.
È evi­den­te, allo­ra, che il con­flit­to arma­to in Ucrai­na rap­pre­sen­ta sol­tan­to una tes­se­ra dell’ampio qua­dro in cui si pro­fi­la uno scon­tro glo­ba­le per una nuo­va ripar­ti­zio­ne del mon­do, cioè il sot­to­pro­dot­to del­la dina­mi­ca del­le for­ze e del­le ten­den­ze com­pe­ti­ti­ve dell’imperialismo con­flig­gen­ti fra loro. Ancor meglio, è il pun­to di cadu­ta del­lo scon­tro fra l’egemonia sta­tu­ni­ten­se alla testa del pro­ces­so di inte­gra­zio­ne eco­no­mi­ca glo­ba­le e l’emergere di poten­ze che lan­cia­no una sfi­da all’ordine mon­dia­le basa­to su quell’egemonia[71]. Le ten­den­ze tipi­che dell’epoca impe­ria­li­sta si sono for­te­men­te acui­te, per cui si sono ridot­ti i mar­gi­ni per uno svi­lup­po “evo­lu­ti­vo” del capitalismo.

La guer­ra: estre­ma risor­sa per usci­re dal­la crisi
I mar­xi­sti in seno alla Ter­za Inter­na­zio­na­le defi­ni­va­no la fase impe­ria­li­sta del capi­ta­li­smo come un’epoca in cui la fase sto­ri­ca “pro­gres­si­va” del capi­ta­le si era esau­ri­ta. La lot­ta tra i mono­po­li per i mer­ca­ti e tra gli Sta­ti per la supre­ma­zia mon­dia­le veni­va inscrit­ta in un perio­do di ago­nia cro­ni­ca in cui l’esistenza in vita del capi­ta­li­smo è incom­pa­ti­bi­le con l’estensione dei dirit­ti e del­le con­ces­sio­ni ai lavo­ra­to­ri, e in cui il capi­ta­li­smo stes­so ten­de a svi­lup­pa­re for­ze distrut­ti­ve per favo­ri­re la pro­pria auto­per­pe­tua­zio­ne, minac­cian­do per­fi­no la vita civi­le. L’imperialismo può risol­ve­re i suoi con­flit­ti inter­ni al siste­ma mon­dia­le degli Sta­ti e può pre­ser­va­re l’ordine mon­dia­le che ha costrui­to dal peri­co­lo di una rivo­lu­zio­ne socia­le sol­tan­to con i meto­di del­la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne eco­no­mi­ca e poli­ti­ca. Ma i fat­ti di cui stia­mo discu­ten­do dimo­stra­no che que­sta dia­gno­si, vali­da in gene­ra­le per l’intera epo­ca sto­ri­ca dell’imperialismo, è addi­rit­tu­ra mol­to più che attua­le nel­la tap­pa che stia­mo vivendo.
Le cri­si del capi­ta­le non sono un feno­me­no “ester­no” al capi­ta­le stes­so, anzi ne rap­pre­sen­ta­no una carat­te­ri­sti­ca insi­ta. Han­no un com­pi­to sto­ri­co asse­gna­to loro dal siste­ma capi­ta­li­sta quan­do per qual­che ragio­ne si inter­rom­pe il movi­men­to espan­si­vo di accu­mu­la­zio­ne. Si trat­ta di un com­pi­to che sem­bra con­trad­dit­to­rio con la logi­ca stes­sa del­la valo­riz­za­zio­ne del capi­ta­le, ma che inve­ce para­dos­sal­men­te è essen­zia­le per la sua esi­sten­za: quel­lo di bru­cia­re capi­ta­le asso­lu­to ecce­den­te che non ha ogget­ti­va­men­te le con­di­zio­ni per ria­li­men­ta­re il cir­cui­to del­la valo­riz­za­zio­ne. La distru­zio­ne di for­ze pro­dut­ti­ve e di ric­chez­za si impo­ne per­ciò come l’unico mez­zo per restau­ra­re le con­di­zio­ni per la ripre­sa del pro­ces­so di accumulazione.
L’ora del­la cri­si è l’ora di una dispu­ta inter­ca­pi­ta­li­sta più inten­sa. Ogni cri­si eco­no­mi­ca seria del capi­ta­li­smo con­tem­po­ra­neo è una cri­si inter­na­zio­na­le che può esse­re com­pre­sa sol­tan­to a par­ti­re da un approc­cio inter­na­zio­na­le, ben­ché le sue pro­por­zio­ni pos­sa­no esse­re diver­se da Pae­se a Pae­se. Una gra­ve cri­si impo­ne la neces­si­tà di una ristrut­tu­ra­zio­ne del mer­ca­to mon­dia­le e del siste­ma inter­na­zio­na­le degli Sta­ti. Le lot­te tra i mono­po­li e le nazio­ni si inten­si­fi­ca­no e al ter­mi­ne del­la cri­si alcu­ni di essi usci­ran­no raf­for­za­ti e altri inde­bo­li­ti. Il ripo­si­zio­na­men­to dei mono­po­li richie­de­rà fal­li­men­ti e fusio­ni, e la lot­ta fra gli Sta­ti pro­vo­che­rà ten­sio­ni fra le poten­ze, non­ché la resi­sten­za degli Sta­ti peri­fe­ri­ci alle pres­sio­ni rico­lo­niz­za­tri­ci degli Sta­ti impe­ria­li­sti[72].
Ma quan­do per la sua por­ta­ta la cri­si non rie­sce ad adem­pie­re al suo com­pi­to sto­ri­co di riav­via­re il ciclo di valo­riz­za­zio­ne ed accu­mu­la­zio­ne attra­ver­so una distru­zio­ne “paci­fi­ca” di for­ze pro­dut­ti­ve, allo­ra non resta che un’ultima risor­sa: la guer­ra come meto­do distrut­ti­vo più effi­ca­ce. Ecco per­ché l’economista Dou­glass North argo­men­ta­va, con la cita­zio­ne che abbia­mo ripor­ta­to all’inizio del testo, che non era sta­ta una qua­lun­que teo­ria eco­no­mi­ca a con­sen­ti­re al capi­ta­li­smo di usci­re dal­la cri­si del 1929, ma la Secon­da Guer­ra mondiale.
L’imperialismo, insom­ma, por­ta con sé la guer­ra e la guer­ra è “un bene” per l’economia impe­ria­li­sta. Lo cer­ti­fi­ca un report cari­ca­to sul sito di Mor­gan Stan­ley, che costi­tui­sce un docu­men­to note­vo­le per il cini­smo e per l’involontario spi­ri­to maca­bro da cui è per­mea­to. Il testo recita:

«Che cosa può ridur­re dra­sti­ca­men­te il defi­cit del­le par­ti­te cor­ren­ti ame­ri­ca­ne e per que­sta via eli­mi­na­re i rischi più signi­fi­ca­ti­vi per l’economia degli Sta­ti Uni­ti e del dol­la­ro? La rispo­sta è: un atto di guer­ra. L’ultima vol­ta che gli Usa han­no regi­stra­to un sur­plus del­le par­ti­te cor­ren­ti è sta­to nel 1991, quan­do il con­cor­so dei Pae­si este­ri ai costi soste­nu­ti dall’America per la Guer­ra del Gol­fo ha con­tri­bui­to a gene­ra­re un avan­zo di 3,7 milio­ni di dollari».

Si trat­ta, come abbia­mo pre­ci­sa­to, di un docu­men­to cini­co: gli ana­li­sti finan­zia­ri non si fer­ma­no di fron­te a nul­la e giun­go­no, sen­za tan­ti giri di paro­le, ad augu­rar­si una guer­ra come via d’uscita per un’economia in difficoltà.
Ma il report cita­to, oltre ad esse­re cini­co, è anche del tut­to invo­lon­ta­ria­men­te e auto­le­sio­ni­sti­ca­men­te maca­bro, vista la data in cui è sta­to scrit­to: fu infat­ti cari­ca­to sul sito di Mor­gan Stan­ley mar­te­dì 11 set­tem­bre 2001, fra le 7:30 e le 8:00 del mat­ti­no, ora loca­le di New York. Esat­ta­men­te un’ora dopo, quell’atto di guer­ra invo­ca­to dagli ana­li­sti finan­zia­ri si veri­fi­cò davvero.
Pur­trop­po per gli esten­so­ri del testo, pro­prio negli uffi­ci del­la Mor­gan Stan­ley, situa­ti nel­le Twin Towers.

Tra­sfor­ma­re la guer­ra impe­ria­li­sta in guer­ra civile
E allo­ra, men­tre le orga­niz­za­zio­ni che con­ti­nua­no inde­gna­men­te a richia­mar­si al mar­xi­smo e all’internazionalismo segui­ta­no a tra­stul­lar­si con i con­cet­ti – richia­ma­ti a spro­po­si­to, come abbia­mo visto – di “auto­de­ter­mi­na­zio­ne”, di “guer­ra di libe­ra­zio­ne nazio­na­le” e di “resi­sten­za”, noi restia­mo con­vin­ti, in ragio­ne di quan­to fin qui det­to, che quel­la in atto in Ucrai­na sia una guer­ra inte­rim­pe­ria­li­sta, com­bat­tu­ta da tre diver­si e con­trap­po­sti ver­san­ti, per una nuo­va ripar­ti­zio­ne del mon­do. Di più: è addi­rit­tu­ra una guer­ra impe­ria­li­sta fra nazio­ni che ne cela die­tro di sé una con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ria con­tro i lavo­ra­to­ri del pia­ne­ta per met­te­re in atto un mag­gio­re sfrut­ta­men­to del­la clas­se ope­ra­ia internazionale.
In que­sto sen­so, non sia­mo in gra­do oggi di pre­ve­de­re se e come, quan­do sarà fini­ta la guer­ra in Ucrai­na, il mon­do sarà nuo­va­men­te ripar­ti­to, né se con­ti­nue­rà ad esse­re “uni­po­la­re” o diven­te­rà “mul­ti­po­la­re”: cer­ta­men­te non sarà miglio­re per la clas­se lavo­ra­tri­ce inter­na­zio­na­le se que­sta non diven­te­rà pro­ta­go­ni­sta sul­la base di una pro­pria azio­ne indi­pen­den­te. Ciò che inve­ce pos­sia­mo dire, pren­den­do in pre­sti­to il tito­lo di un famo­so libro del gran­de rivo­lu­zio­na­rio rus­so Vic­tor Ser­ge, è che quel­la che ci cir­con­da è la mez­za­not­te del XXI seco­lo. Il buio in cui il mon­do inte­ro sta spro­fon­dan­do – un buio ato­mi­co, se qual­cu­no degli Sta­ti impli­ca­ti doves­se fol­le­men­te pre­me­re il pul­san­te – è oggi squar­cia­to dal baglio­re dei mis­si­li e dei pro­iet­ti­li che si schian­ta­no sui pro­le­ta­ri in divi­sa dell’una e dell’altra parte.
Noi inve­ce inten­dia­mo rischia­rar­lo ricor­ren­do ai prin­ci­pi dell’internazionalismo pro­le­ta­rio, per l’affermazione dei qua­li deci­ne e deci­ne di rivo­lu­zio­na­ri han­no dato la pro­pria vita. Non pos­sia­mo, per­ciò, non riven­di­ca­re come bus­so­la del nostro agi­re in que­sto spe­ci­fi­co fran­gen­te sto­ri­co il disfat­ti­smo rivo­lu­zio­na­rio.
Sia chia­ro: come affer­ma­va Tro­tsky, «la clas­se ope­ra­ia non è indif­fe­ren­te alla sua nazio­ne». Ma, aggiun­ge­va, «è pro­prio per­ché la sto­ria pone tra le sue mani il desti­no del­la nazio­ne che la clas­se ope­ra­ia rifiu­ta di affi­da­re l’obiettivo del­la liber­tà e dell’indipendenza nazio­na­li all’imperialismo, il qua­le “sal­va” la nazio­ne sol­tan­to per sot­to­por­la il gior­no dopo a nuo­vi peri­co­li mor­ta­li nell’interesse di un’insignificante mino­ran­za di sfrut­ta­to­ri»[73]. Ed è evi­den­te che colo­ro i qua­li insi­sto­no sul soste­gno alla “resi­sten­za” fini­sco­no per affi­da­re pro­prio al bloc­co impe­ria­li­sta Usa/Nato/Ue la “sal­vez­za” dell’Ucraina.
Cre­dia­mo per­ciò che il cri­te­rio che deve orien­ta­re i rivo­lu­zio­na­ri nell’attuale sce­na­rio di guer­ra non deb­ba esse­re un ridut­ti­vo “Né con la Rus­sia, né con la Nato”. È neces­sa­rio inve­ce impri­me­re a que­sto slo­gan per nul­la effi­ca­ce, gene­ral­men­te decli­na­to dai paci­fi­sti, una for­za diver­sa e poten­zial­men­te dirom­pen­te. E dun­que, per quan­to riguar­da l’Italia, “CONTRO la Rus­sia e CONTRO la Nato. E per­ciò, CONTRO l’Italia!”.
Noi dob­bia­mo pun­ta­re, appli­can­do il prin­ci­pio del disfat­ti­smo rivo­lu­zio­na­rio, sul­la scon­fit­ta poli­ti­ca – e pos­si­bil­men­te mili­ta­re – del­la “nostra bor­ghe­sia”. Ana­lo­ga­men­te dovreb­be­ro com­por­tar­si i pro­le­ta­ri sta­tu­ni­ten­si, fran­ce­si, tede­schi, spa­gno­li e di ogni altro Pae­se euro­peo impli­ca­to nel­la guer­ra in Ucrai­na (sia pure anco­ra sen­za aver aper­ta­men­te mes­so – come si suol dire – gli sti­va­li sul ter­re­no[74]). Ma soprat­tut­to il disfat­ti­smo rivo­lu­zio­na­rio è com­pi­to che incom­be prin­ci­pal­men­te sul pro­le­ta­ria­to del Pae­se inva­so­re uti­liz­zan­do i meto­di del­la lot­ta di clas­se (bloc­co del­la pro­du­zio­ne, soprat­tut­to mili­ta­re e di ogni altro bene o ser­vi­zio che sia fun­zio­na­le all’aggressione e alla sua pro­se­cu­zio­ne; boi­cot­tag­gio del tra­spor­to di armi ver­so il tea­tro di guer­ra; agi­ta­zio­ne in favo­re del Pae­se aggre­di­to e con­tro il pro­prio): a ben vede­re, è que­sta l’unica for­ma di con­cre­to e vali­do aiu­to che il pro­le­ta­ria­to rus­so può for­ni­re ai lavo­ra­to­ri e alle mas­se popo­la­ri ucraine.
E nep­pu­re sfug­go­no a quest’obbligazione i pro­le­ta­ri ucrai­ni, i qua­li dovreb­be­ro com­bi­na­re meto­di di guer­ra civi­le con­tro il pro­prio gover­no: inde­bo­len­do­lo sul ver­san­te poli­ti­co ed eco­no­mi­co e disar­ti­co­lan­do il pro­prio eser­ci­to con il disar­mo, sia del­le ban­de para­mi­li­ta­ri nazi­ste in esso inte­gra­te che del­le trup­pe rego­la­ri al sol­do di Zelens’kyj e del­la bor­ghe­sia che egli rap­pre­sen­ta, crean­do inve­ce distac­ca­men­ti ope­rai arma­ti per l’autodifesa ed il rove­scia­men­to dell’esecutivo inse­dia­to a Kiev. È que­sto, infat­ti, l’autentico sen­so del­la dife­sa nazio­na­le: la dife­sa, cioè, del­la pro­pria casa, del­la pro­pria fami­glia e del­la pro­pria vita; non inve­ce – per­ché è que­sto ciò che si sta dipa­nan­do sul ter­re­no del­lo scon­tro mili­ta­re – la dife­sa del­la poli­ti­ca del­la pro­pria bor­ghe­sia, quan­tun­que sia in que­sto momen­to attac­ca­ta da un’altra bor­ghe­sia meglio arma­ta e più aggressiva.

(“Pil­lo­le” di disfat­ti­smo rivoluzionario)

Quan­do Lenin soste­ne­va che “la scon­fit­ta è il male mino­re” non inten­de­va dire che la scon­fit­ta del pro­prio Pae­se è un male mino­re rispet­to alla scon­fit­ta del Pae­se inva­so­re, ma che una scon­fit­ta mili­ta­re risul­tan­te dal­lo svi­lup­po del movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio è infi­ni­ta­men­te più bene­fi­ca per il pro­le­ta­ria­to e per tut­to il popo­lo, rispet­to a una vit­to­ria mili­ta­re che però per­pe­tui la schia­vi­tù dei lavo­ra­to­ri ad ope­ra del­la pro­pria borghesia.
Tut­ta­via, qual­cu­no ci accu­sa di dog­ma­ti­smo e dot­tri­na­ri­smo per uti­liz­za­re una for­mu­la inef­fi­ca­ce, in quan­to pri­va di effet­ti pra­ti­ci visto il pau­ro­so arre­tra­men­to del­la coscien­za del movi­men­to ope­ra­io, che dovreb­be esse­re il pri­mo ad erger­si con­tro la guer­ra dei padro­ni. Ci si dice: “Non è che non sia giu­sto, però non è efficace”.
Si trat­ta di una cri­ti­ca che non coglie nel segno. Quan­do mai i comu­ni­sti han­no sem­pli­ce­men­te ope­ra­to in fun­zio­ne e nei limi­ti dell’oggi? Nel­la socie­tà capi­ta­li­sta, i rivo­lu­zio­na­ri sono un’estrema mino­ran­za ed ope­ra­no in con­di­zio­ni sfa­vo­re­vo­li. Ma, pur aven­do la capa­ci­tà di agi­re nel momen­to pre­sen­te, lo fan­no difen­den­do oggi la poli­ti­ca per il futu­ro. Le posi­zio­ni inter­na­zio­na­li­ste che oggi sono patri­mo­nio esclu­si­vo di un nucleo ristret­to di irri­du­ci­bi­li inter­na­zio­na­li­sti potran­no doma­ni esse­re fat­te pro­prie dall’insieme del­la clas­se ope­ra­ia solo se in que­sto momen­to – pro­prio quan­do appa­io­no “inef­fi­ca­ci” – ven­go­no riven­di­ca­te e pro­pa­gan­da­te. I rivo­lu­zio­na­ri devo­no tener fer­ma nel pre­sen­te la linea del futu­ro[75].
Del resto, quan­do nell’agosto del 1914 l’intero movi­men­to socia­li­sta appro­dò sui lidi del social­scio­vi­ni­smo appog­gian­do la guer­ra impe­ria­li­sta non fu for­se un pugno di inter­na­zio­na­li­sti – tan­to pochi che «tro­va­ro­no posto in quat­tro car­roz­ze»[76] – a rian­no­da­re il filo che si era spez­za­to soste­nen­do, da mino­ran­za iso­la­ta, una coe­ren­te posi­zio­ne con­tro la guer­ra sul­la base del prin­ci­pio dell’indipendenza di clas­se e a get­ta­re così le basi per la futu­ra rivo­lu­zio­ne pro­le­ta­ria dell’ottobre 1917 e per la costru­zio­ne del­la Ter­za Internazionale?
Insom­ma, il vero signi­fi­ca­to del­la paro­la d’ordine del­la tra­sfor­ma­zio­ne del­la guer­ra impe­ria­li­sta in guer­ra civi­le sta pro­prio nel­le posi­zio­ni coe­ren­te­men­te inter­na­zio­na­li­ste che abbia­mo cer­ca­to di espri­me­re in que­sto testo. E rap­pre­sen­ta il nucleo del com­pi­to stra­te­gi­co dei rivo­lu­zio­na­ri duran­te la guerra.


Note

[1] Abbia­mo dif­fu­sa­men­te cri­ti­ca­to que­sta aber­ran­te posi­zio­ne in diver­si arti­co­li: in par­ti­co­la­re qui, qui e qui.
[2] Jens Stol­ten­berg, segre­ta­rio gene­ra­le del­la Nato, ritie­ne inve­ce pro­prio il 2014 l’anno di ini­zio del­la guer­ra. Ma avven­ta­ta­men­te ha anche dichia­ra­to che il Pat­to atlan­ti­co è già da allo­ra par­te del con­flit­to: «La guer­ra è ini­zia­ta nel 2014. E, da allo­ra, la Nato ha imple­men­ta­to il più gran­de raf­for­za­men­to del­la nostra dife­sa col­let­ti­va dal­la fine del­la guer­ra fred­da» (“Edi­to­rial Board inter­view: Nato Secre­ta­ry Gene­ral Jens Stol­ten­berg”, The Washing­ton Post, 9/5/2023).
[3] La stes­sa Nuland non si fece scru­po­lo di dichia­ra­re pub­bli­ca­men­te che gli Sta­ti Uni­ti ave­va­no inve­sti­to cin­que miliar­di di dol­la­ri per “demo­cra­tiz­za­re” l’Ucraina … E noi sap­pia­mo bene ciò che signi­fi­ca nel les­si­co dell’imperialismo sta­tu­ni­ten­se l’espressione “demo­cra­tiz­za­re”!
[4] «Gli Sta­ti Uni­ti e i loro allea­ti euro­pei con­di­vi­do­no la mag­gior par­te del­la respon­sa­bi­li­tà del­la cri­si. La radi­ce del pro­ble­ma è l’allargamento del­la Nato, l’elemento cen­tra­le di una stra­te­gia più ampia per por­ta­re l’Ucraina fuo­ri dall’orbita del­la Rus­sia e in Occi­den­te» (J.J. Mear­shei­mer, “Why the Ukrai­ne Cri­sis Is the West’s Fault”, Forei­gn Affairs, set./ott. 2014).
[5] La tor­bi­da inter­fe­ren­za degli Sta­ti Uni­ti negli even­ti che sfo­cia­ro­no nel­la “guer­ra del Don­bas” tro­vò all’epoca una con­fer­ma nel viag­gio in Ucrai­na sot­to fal­so nome del capo del­la Cia, John Bren­nan, che die­de il via a quel­la che ven­ne defi­ni­ta “la guer­ra segre­ta” (“Why CIA Direc­tor Bren­nan Visi­ted Kiev: In Ukrai­ne The Covert War Has Begun”, For­bes, 16/4/2014).
[6] J.W. Car­den, “Bush padre ave­va ragio­ne: giù le mani dall’Ucraina”, Limes, vol. 4, 2022, pp. 139 e ss.
[7] Op. ult. cit., p. 143.
[8] Ivi, pp. 144–145.
[9] Nel 2013, Ruslan Pukhov, all’epoca con­su­len­te del mini­ste­ro del­la Dife­sa rus­so, scri­ve­va in un arti­co­lo che potreb­be esse­re con­si­de­ra­to l’epigrafe di quan­to sta acca­den­do oggi nell’Est euro­peo: «La pos­si­bi­le entra­ta dell’Ucraina nel­la Nato equi­va­le a un’esplosione nuclea­re tra Mosca e i Pae­si occi­den­ta­li. I ten­ta­ti­vi di tira­re Kiev den­tro l’Alleanza Atlan­ti­ca por­te­ran­no a una cri­si di enor­mi pro­por­zio­ni in Euro­pa, in cam­po sia mili­ta­re sia poli­ti­co. E la stes­sa Ucrai­na assi­ste­rà a una pro­fon­da cri­si inter­na visti i diver­si orien­ta­men­ti cul­tu­ra­li del­la sua popo­la­zio­ne. L’Occidente sot­to­va­lu­ta l’importanza del­la que­stio­ne ucrai­na per la Rus­sia e non per­ce­pi­sce a dove­re come Kiev pos­sa rap­pre­sen­ta­re un gra­ve fat­to­re di desta­bi­liz­za­zio­ne nel­le sue rela­zio­ni con Mosca. Cre­de­re che la Rus­sia sarà pri­ma o poi costret­ta a man­dar giù l’entrata dell’Ucraina nell’Alleanza Atlan­ti­ca è pra­ti­ca peri­co­lo­sa che può por­ta­re a un’evoluzione cata­stro­fi­ca degli even­ti. Del resto mol­ti in Occi­den­te non cre­de­va­no, fino ad ago­sto 2008, che la Rus­sia osas­se con­dur­re un inter­ven­to mili­ta­re in Geor­gia» (R. Pukhov, “Dob­bia­mo ripren­der­ci lo spa­zio sovie­ti­co”, Limes, vol. 11, 2013).
[10] È pos­si­bi­le sca­ri­ca­re dal sito del­la RAND l’intero rap­por­to in for­ma­to “pdf”.
[11] La chia­rez­za di que­sto rap­por­to è indi­scu­ti­bi­le. E, a mag­gior ripro­va, va evi­den­zia­to quan­to i diplo­ma­ti­ci occi­den­ta­li fos­se­ro da lun­go tem­po ben con­sa­pe­vo­li del­la pre­oc­cu­pa­zio­ne stra­te­gi­ca del­la Rus­sia a pro­po­si­to dell’ingresso nel­la Nato dell’Ucraina: già nel 1997, il noto diplo­ma­ti­co sta­tu­ni­ten­se Geor­ge Ken­nan lo ave­va defi­ni­to «un erro­re fata­le». Ma anche negli anni suc­ces­si­vi diver­si con­si­glie­ri diplo­ma­ti­ci ita­lia­ni, fran­ce­si, tede­schi e sta­tu­ni­ten­si ave­va­no ripe­tu­ta­men­te mani­fe­sta­to, in nume­ro­si cablo­gram­mi venu­ti alla luce gra­zie alla meri­to­ria ope­ra di Wiki­Leaks, le loro pre­oc­cu­pa­zio­ni per una rea­zio­ne rus­sa poten­zial­men­te nega­ti­va a un pia­no d’a­zio­ne per l’adesione dell’Ucraina alla Nato. In altri docu­men­ti tale eve­nien­za veni­va descrit­ta come una “linea ros­sa” per Mosca. Lo stes­so Wil­liam Burns, oggi diret­to­re del­la Cia ma all’epoca amba­scia­to­re degli Usa in Rus­sia, in un cablo­gram­ma del 14 mar­zo 2007 spie­ga­va: «L’allargamento del­la Nato e il dispie­ga­men­to del­la dife­sa mis­si­li­sti­ca degli Sta­ti Uni­ti in Euro­pa favo­ri­sco­no la clas­si­ca pau­ra rus­sa del­l’ac­cer­chia­men­to». E il suc­ces­si­vo 13 set­tem­bre aggiun­ge­va che «l’ingresso dell’Ucraina … nel­la Nato rap­pre­sen­ta una situa­zio­ne “incon­ce­pi­bi­le” per la Rus­sia», rimar­can­do in altri dispac­ci di rite­ne­re l’emergere del­la rela­zio­ne Rus­sia-Cina come «il sot­to­pro­dot­to di “cat­ti­ve poli­ti­che” sta­tu­ni­ten­si».
[12] “US, Nato rule out halt to expan­sion, reject Rus­sian demands”, AP News, 7/1/2022.
[13] “Ukrai­ne war: Pea­ce talks still on despi­te ‘geno­ci­de’, Zelen­sky says”, BBC News, 4/4/2022.
[14] “Pos­si­bi­li­ty of talks bet­ween Zelen­skyy and Putin came to a halt after Johnson’s visit – UP sour­ces”, Ukrain­ska Pra­v­da, 5/5/2022.
[15] “The World Putin Wan­ts”, Forei­gn Affairs, 25/8/2022.
[16] “For­mer Israe­li PM Ben­nett says U.S. ‘bloc­ked’ his attemp­ts at a Rus­sia-Ukrai­ne pea­ce deal”, MR Onli­ne, 7/2/2023.
[17] “Pen­ta­gon chief says US wan­ts to see Rus­sia ‘wea­ke­ned’”, The Hill, 25/4/2022.
[18] Gli Accor­di di Min­sk furo­no fir­ma­ti nel set­tem­bre 2014 e nel feb­bra­io 2015.
[19] Non pare infat­ti pros­si­ma una via d’uscita nego­zia­le se da una par­te la Nato insi­ste sul­la stra­da dell’ade­sio­ne dell’Ucraina alla Nato e dall’altra Mosca con­ti­nua a rite­ne­re che bloc­car­ne il per­cor­so resta «uno degli obiet­ti­vi dell’operazione spe­cia­le del Crem­li­no». In ogni caso, gli stes­si docu­men­ti riser­va­ti, recen­te­men­te tra­pe­la­ti, esclu­do­no che per tut­to il 2023 pos­sa esser­vi un nego­zia­to (“No Rus­sia-Ukrai­ne pea­ce talks expec­ted this year, U.S. leak sho­ws”, The Washing­ton Post, 12/4/2023).
[20] Men­tre scri­via­mo, ad esem­pio, la cit­tà di Bah­mut, appe­na con­qui­sta­ta dal­le trup­pe di Mosca, è sta­ta l’epicentro di quel­la che è sta­ta con­si­de­ra­ta la bat­ta­glia più fero­ce dai tem­pi del­la Secon­da Guer­ra mon­dia­le, tan­to da meri­tar­si l’appellativo di “tri­ta­car­ne”, men­tre in altre aree il con­flit­to è rela­ti­va­men­te a più bas­sa inten­si­tà. Intan­to, nei pri­mi gior­ni di giu­gno sul fron­te di Zapo­rižž­ja pare esser­si avvia­ta la tan­to atte­sa con­trof­fen­si­va ucraina.
[21] Per “per­di­te” si inten­do­no i sol­da­ti mor­ti, feri­ti e pri­gio­nie­ri. Le rispet­ti­ve pro­pa­gan­de tac­cio­no ovvia­men­te sul­le cifre rea­li: i nume­ri di ognu­na sono sovra­sti­ma­ti o sot­to­sti­ma­ti a secon­da del­la con­ve­nien­za. Tut­ta­via, com­pa­ran­do quel­li di diver­se fon­ti e sen­za pre­te­sa di esse­re pre­ci­si, le per­di­te ucrai­ne dovreb­be­ro ad oggi atte­star­si, secon­do le sti­me più pru­den­ti, in un nume­ro com­pre­so fra 300.000 e 500.000, men­tre quel­le rus­se fra 30/40.000 e 50/60.000. Secon­do l’esperto mili­ta­re Lau­rent Schang, il pri­mo eser­ci­to ucrai­no (in sen­so cro­no­lo­gi­co, e cioè al momen­to dell’inizio del­la guer­ra) era com­po­sto da quat­tro cor­pi d’armata, per un tota­le di 260.000 uomi­ni, ed è sta­to annien­ta­to; il secon­do anno­ve­ra­va 100.000 uomi­ni in par­te equi­pag­gia­ti con equi­pag­gia­men­to Nato ed è sta­to anch’esso distrut­to. Il nume­ro dei volon­ta­ri stra­nie­ri – cir­ca 20.000 nell’estate 2022 – sareb­be oggi ridot­to alla dimen­sio­ne di un bat­ta­glio­ne (1500 uni­tà). D’altronde, lo stes­so David Ara­kha­mia, depu­ta­to e capo­grup­po par­la­men­ta­re del par­ti­to di Zelens’kyj “Ser­vi­to­re del popo­lo”, nel giu­gno 2022, quan­do i com­bat­ti­men­ti non ave­va­no rag­giun­to la fero­cia di que­ste set­ti­ma­ne, non si face­va scru­po­lo di dichia­ra­re che nel Don­bas veni­va­no ucci­si o feri­ti fino a 1000 sol­da­ti ucrai­ni al gior­no, con una media di 200–500 mor­ti e mol­ti altri feri­ti. Quan­to ai mez­zi da com­bat­ti­men­to, l’Ucraina ha da tem­po pres­so­ché esau­ri­to il mate­ria­le di ori­gi­ne ex sovie­ti­ca con cui è entra­ta in guer­ra e al momen­to reg­ge lo scon­tro solo gra­zie alla for­ni­tu­ra sen­za pre­ce­den­ti di armi occi­den­ta­li. Ma, nel com­ples­so, si può dire che la sua poten­za di com­bat­ti­men­to è note­vol­men­te degra­da­ta per quel che riguar­da in par­ti­co­la­re le uni­tà mec­ca­niz­za­te e le for­ze di arti­glie­ria. La Rus­sia van­ta inol­tre un’incomparabile supe­rio­ri­tà aerea e nel­la guer­ra elet­tro­ni­ca, men­tre è in infe­rio­ri­tà quan­to al nume­ro del­le trup­pe in campo.
[22] “US Defen­se Chief: Ukraine’s Bakh­mut Is Sym­bo­lic Rather Than Stra­te­gic”, VOA News, 6/3/2023.
[23] Il 20 mag­gio scor­so, il capo del­la com­pa­gnia mili­ta­re pri­va­ta rus­sa “Wag­ner”, Pri­gožin, ha annun­cia­to la pre­sa del­la cit­tà dopo 224 gior­ni di fero­ci com­bat­ti­men­ti nel cor­so dei qua­li – secon­do le sti­me più pru­den­ti – gli ucrai­ni avreb­be­ro per­so alme­no 50.000 uomi­ni, di cui cir­ca 25.000 mor­ti in bat­ta­glia (le sti­me del­la Wag­ner par­la­no, inve­ce, di 72.000 sol­da­ti nemi­ci ucci­si e oltre 500 pri­gio­nie­ri). Il valo­re del­le per­di­te mate­ria­li e tec­ni­che vie­ne sti­ma­to in cir­ca otto miliar­di di dol­la­ri, men­tre il valo­re del­le muni­zio­ni impie­ga­te e del car­bu­ran­te uti­liz­za­to per i mez­zi ammon­te­reb­be a due miliar­di di dol­la­ri. Inol­tre, nel­la bat­ta­glia di Bah­mut (che ora ha ripre­so l’antico nome rus­so di Artë­mo­v­sk) l’esercito ucrai­no avreb­be per­so diver­si veli­vo­li, oltre 300 car­ri arma­ti e più di 250 UAV (Unman­ned Aerial Vehicle).
[24] Il 20 gen­na­io 2023, il Ser­vi­zio di Intel­li­gen­ce fede­ra­le tede­sco (BND) avver­ti­va, mol­to più rea­li­sti­ca­men­te, che la pre­sa di Bah­mut da par­te dei rus­si «avreb­be gra­vi con­se­guen­ze, poi­ché con­sen­ti­reb­be alla Rus­sia di avan­za­re ulte­rior­men­te nell’entroterra». All’inizio dei com­bat­ti­men­ti gli esper­ti mili­ta­ri valu­ta­va­no che la cit­tà si tro­vas­se in una posi­zio­ne mol­to favo­re­vo­le per l’artiglieria e l’aviazione rus­se con­si­de­ran­do il domi­nio aereo su Bahmut/Artëmovsk e le linee di rifor­ni­men­to mol­to cor­te per tut­te le neces­si­tà logi­sti­che. Al con­tra­rio, le trup­pe ucrai­ne si tro­va­va­no in una situa­zio­ne del tut­to oppo­sta, incon­tran­do tut­ti gli svan­tag­gi che si pos­so­no ave­re in una guer­ra: era il luo­go per­fet­to, insom­ma, per sep­pel­li­re l’esercito di Kiev.
[25] Il 1° set­tem­bre 2021 Usa e Ucrai­na sot­to­scri­ve­va­no il “Joint Sta­te­ment on the U.S.-Ukraine Stra­te­gic Part­ner­ship”, col qua­le veni­va­no annun­cia­ti la for­ni­tu­ra a Kiev di armi leta­li e un pro­gram­ma di adde­stra­men­to di trup­pe ed eser­ci­ta­zio­ni vol­ti a favo­ri­re l’ingresso nel­la Nato dell’Ucraina, alla qua­le veni­va attri­bui­to lo “sta­tus di part­ner”. Il suc­ces­si­vo 10 novem­bre, il mini­stro degli Este­ri ucrai­no Dmy­tro Kule­ba e il segre­ta­rio di Sta­to sta­tu­ni­ten­se Anto­ny Blin­ken fir­ma­va­no a Washing­ton il “U.S.-Ukraine Char­ter on Stra­te­gic Part­ner­ship” che rap­pre­sen­ta­va il com­ple­ta­men­to di quan­to già sta­bi­li­to: in pra­ti­ca, una dichia­ra­zio­ne di guer­ra alla Russia.
[26] Già poche set­ti­ma­ne dopo l’inizio dell’invasione, la stam­pa occi­den­ta­le ha bat­tu­to sul tam­bu­ro del­la pro­pa­gan­da allo sco­po di con­vin­ce­re l’opinione pub­bli­ca del­la neces­si­tà di sup­por­ta­re l’Ucraina for­nen­do­le gran­di quan­ti­ta­ti­vi di armi neces­sa­rie a scon­fig­ge­re l’aggressore: che, secon­do la nar­ra­zio­ne uffi­cia­le, era disor­ga­niz­za­to, col mora­le a ter­ra e ormai pri­vo di armi moder­ne, già con­su­ma­te nei pri­mi attac­chi. Mol­ti ana­li­sti non si face­va­no scru­po­lo di soste­ne­re che Kiev era sul­la stra­da del­la vit­to­ria, men­tre una cocen­te scon­fit­ta di Putin era die­tro l’angolo (“Why Ukrai­ne Will Win”, Jour­nal of Demo­cra­cy, set­tem­bre 2022; “Rus­sian Efforts to Rai­se Num­bers of Troops ‘Unli­ke­ly to Suc­ceed,’ U.S. Offi­cial Says”, U.S. Depart­ment of Defen­ce, 29/8/2022; “Ukrai­nian for­ces could wipe out all of ‘exhau­sted’ Rus­sian troops’ ter­ri­to­rial gains, reti­red US gene­ral says”, Insi­der, 14/7/2022; “Rus­sia faces ‘cri­ti­cal shor­ta­ge’ of artil­le­ry shells, says UK defen­ce chief”, The Guar­dian, 14/12/2022; “Rus­sia Is Run­ning Out of Fresh Ammo and May Need to Use 40-Year-Old Shells”, Military.com, 12/12/2022). Il capo dell’intelligence ucrai­na, Buda­nov, spre­giu­di­ca­ta­men­te pre­ve­de­va che Mosca sareb­be sta­ta scon­fit­ta entro la fine del 2022 (“Ukrai­ne war: Mili­ta­ry intel­li­gen­ce chief ‘opti­mi­stic’ of Rus­sian defeat say­ing war «will be over by end of year»”, Sky News, 14/5/2022).
[27] Il fat­to è che «gli Sta­ti Uni­ti han­no un pro­ble­ma indu­stria­le. Il set­to­re bel­li­co non è attrez­za­to per un con­flit­to pro­lun­ga­to con­tro una gran­de poten­za. […] La base indu­stria­le sta­tu­ni­ten­se è costrui­ta per rag­giun­ge­re la mas­si­ma effi­cien­za con i rit­mi di pro­du­zio­ne da tem­pi di pace. Pace non vuol dire assen­za di guer­ra ben­sì guer­re con avver­sa­ri net­ta­men­te infe­rio­ri. I cosid­det­ti con­flit­ti a bas­sa inten­si­tà sono sta­ti la nor­ma per trent’anni. […] Le For­ze arma­te ame­ri­ca­ne sono sta­te costrui­te attor­no a que­sto model­lo. Anche i siste­mi di con­se­gna di arma­men­ti agli allea­ti […] sono pen­sa­ti più come stru­men­ti di eser­ci­zio del pote­re impe­ria­le che come velo­ci mec­ca­ni­smi da atti­va­re in caso di guer­ra» (F. Petroni‑G. Mariot­to, “L’impero sen­za pro­iet­ti­li”, Limes onli­ne, 18/5/2023).
[28] Il Crem­li­no ha dato ini­zio all’invasione poten­do con­ta­re su 15 milio­ni di muni­zio­ni per l’artiglieria stoc­ca­te nei pro­pri magaz­zi­ni e su una capa­ci­tà di pro­du­zio­ne di 1.500.000 uni­tà all’anno. Attual­men­te, la pro­du­zio­ne sta­tu­ni­ten­se di pro­iet­ti­li di arti­glie­ria da 155 mm. non arri­va inve­ce a 175.000 uni­tà all’anno. Ben­ché le indu­strie ame­ri­ca­ne ed euro­pee stia­no incre­men­tan­do i pro­gram­mi di pro­du­zio­ne, i tem­pi di con­se­gna dei pro­iet­ti­li di gros­so cali­bro sono lun­ghis­si­mi, arri­van­do anche a 28 mesi. Il Pen­ta­go­no ha vara­to un pia­no per sestu­pli­ca­re la pro­du­zio­ne di pro­iet­ti­li di arti­glie­ria, ma non pri­ma di due anni.
[29] Ne abbia­mo appro­fon­di­ta­men­te par­la­to in quest’articolo.
[30] Non pos­sia­mo fare a meno di osser­va­re che le san­zio­ni adot­ta­te dall’Occidente con­tro la Rus­sia han­no però man­ca­to il loro obiet­ti­vo. Mosca era assog­get­ta­ta a san­zio­ni (a segui­to dell’annessione del­la Cri­mea) sin dal 2014, eppu­re la sua eco­no­mia non ne ha visi­bil­men­te sof­fer­to, tan­to che già allo­ra v’era chi soste­ne­va che «le san­zio­ni mor­do­no, ma il col­po di gra­zia alla Rus­sia è un’utopia. Con Mosca biso­gna veni­re a pat­ti, se non voglia­mo resta­re sen­za gas e con il con­to del sal­va­tag­gio dell’Ucraina da paga­re» (G.P. Casel­li, “Affos­sa­re l’economia rus­sa? Ci per­dia­mo tut­ti”, Limes, vol. 12, 2014, pp. 101 e ss.). Ma anche oggi, lo stes­so Fon­do Mone­ta­rio Inter­na­zio­na­le espri­me scet­ti­ci­smo sull’efficacia del­le san­zio­ni come stru­men­to di pres­sio­ne, rite­nen­do­le anzi respon­sa­bi­li dell’aggravarsi del­la cri­si eco­no­mi­ca glo­ba­le (“The Sanc­tions Wea­pon”, Imf.org, 06.2022). E men­tre misu­re come il “pri­ce cap”, che inten­de­va­no pri­va­re la Rus­sia del gros­so del­le sue entra­te con l’obiettivo di “defi­nan­zia­re la guer­ra” di Putin, han­no avu­to un impat­to più media­ti­co che rea­le (V. Tor­re, “«Pri­ce cap»: sor­pre­sa!”, Assaltoalcielo.it, 26/2/2023), gli eco­no­mi­sti più atten­ti non han­no man­ca­to di osser­va­re «il con­tra­sto tra gli effet­ti del­le san­zio­ni sul­la Rus­sia e quel­li sull’Europa. Per quan­to riguar­da la Rus­sia, i prez­zi del­le risor­se sono rima­sti sta­bi­li, il mer­ca­to inter­no del­le impre­se rus­se è cre­sciu­to, i beni fisi­ci sono sta­ti tra­sfe­ri­ti ai rus­si a tas­si pre­fe­ren­zia­li e le atti­vi­tà finan­zia­rie che altri­men­ti sareb­be­ro anda­te all’estero sono rima­ste nel Pae­se. Per quan­to riguar­da l’Europa, i prez­zi del­le risor­se impor­ta­te han­no subi­to un’impennata, i mer­ca­ti del­le espor­ta­zio­ni sono dimi­nui­ti, le atti­vi­tà fisi­che han­no dovu­to esse­re ven­du­te a bas­so costo e le atti­vi­tà finan­zia­rie sono fug­gi­te negli Sta­ti Uni­ti. Ci si può quin­di atten­de­re un miglio­ra­men­to del­le con­di­zio­ni di mer­ca­to in Rus­sia e un peg­gio­ra­men­to in Euro­pa, e que­sto è ciò che osser­via­mo attual­men­te. […] Per ora le solen­ni dichia­ra­zio­ni sull’efficacia del­le san­zio­ni non sem­bra­no giu­sti­fi­ca­te» (J.K. Gal­braith, “The Effect of Sanc­tions on Rus­sia: A Skep­ti­cal View”, Inet Eco­no­mics, 11/4/2023. Una tesi – que­sta – con­di­vi­sa anche dal­la Ban­ca euro­pea per la rico­stru­zio­ne e lo svi­lup­po (BERS), la cui eco­no­mi­sta capo, Bea­ta Javor­cik, ha can­di­da­men­te dichia­ra­to: «Cre­do che l’aspettativa che le san­zio­ni occi­den­ta­li avreb­be­ro por­ta­to a una cri­si finan­zia­ria o valu­ta­ria in Rus­sia fos­se trop­po otti­mi­sti­ca. L’economia rus­sa è già sta­ta sot­to­po­sta a una poli­ti­ca di san­zio­ni dal 2014. Ha dato prio­ri­tà alla sta­bi­li­tà macroe­co­no­mi­ca rispet­to alla cre­sci­ta ed è sta­ta mol­to disci­pli­na­ta in mate­ria di bilan­cio. Ha anche com­bat­tu­to l’inflazione in modo mol­to aggres­si­vo. Inol­tre, la Rus­sia dispo­ne di un team com­pe­ten­te di tec­no­cra­ti che sono sta­ti in gra­do di sta­bi­liz­za­re l’economia dopo le san­zio­ni. Que­sto non signi­fi­ca che le san­zio­ni non fun­zio­ni­no. È solo che l’aspettativa di un crol­lo dell’economia rus­sa non era rea­li­sti­ca» (“Che­fö­ko­no­min: Die Erwar­tun­gen an die Rus­sland-Sank­tio­nen waren zu opti­mi­sti­sch”, Ber­li­ner Zei­tung, 22/3/2023). Ancor più espli­ci­ta è la rivi­sta Poli­ti­co (“Rus­sia is get­ting bet­ter at eva­ding Western sanc­tions on elec­tro­nics, US offi­cial says”, Politico.com, 8/6/2023).
[31] Il lavo­ro di “maci­na­zio­ne” da par­te del­le trup­pe di Mosca è reso evi­den­te da que­sti nume­ri: men­tre gli ucrai­ni spa­ra­no cir­ca 5000 pro­iet­ti­li di arti­glie­ria al gior­no, i rus­si ne spa­ra­no 30–40.000 mila al gior­no, con pic­chi che supe­ra­no i 50.000. A par­te gli altis­si­mi livel­li di distru­zio­ne, ciò obbli­ga le poten­ze occi­den­ta­li che sup­por­ta­no Kiev a “sve­nar­si”: secon­do il segre­ta­rio gene­ra­le del­la Nato Jens Stol­ten­berg, «l’attuale tas­so di uti­liz­za­zio­ne di muni­zio­ni da par­te dell’Ucraina è mol­te vol­te supe­rio­re al nostro livel­lo di pro­du­zio­ne. Que­sto met­te a dura pro­va le nostre indu­strie del­la dife­sa». Fino allo scor­so mese di feb­bra­io, sol­tan­to gli Usa han­no for­ni­to all’Ucraina arma­men­ti e muni­zio­ni per un valo­re di oltre 29 miliar­di di dollari.
[32] E in par­ti­co­la­re la Ger­ma­nia, come mostra­no i dati espo­sti in quest’articolo.
[33] Solo a mo’ d’esempio, citia­mo, tra le altre, l’ex Segre­ta­ria­to Uni­fi­ca­to del­la Quar­ta Inter­na­zio­na­le (oggi, Quar­ta Inter­na­zio­na­le); la Lit-Ci in Ame­ri­ca Lati­na; il Fit‑U in Argen­ti­na (con alcu­ni dei par­ti­ti che lo com­pon­go­no a tota­le rimor­chio del­le posi­zio­ni dell’imperialismo sta­tu­ni­ten­se e altri che espri­mo­no posi­zio­ni ambi­gue); l’Npa fran­ce­se; e, in Ita­lia, i pic­co­li grup­pi del Pcl e del Pdac, con Sini­stra Anti­ca­pi­ta­li­sta a rimor­chio che, come sem­pre, si bar­ca­me­na e oscil­la in un ocea­no di ambiguità.
[34] L. Tro­tsky, “On the Natio­nal Que­stion”, 1° mag­gio 1923, In Defen­se of the Rus­sian Revo­lu­tion, p. 179.
[35] Tro­tsky (ibi­dem) così par­la­va a pro­po­si­to di colo­ro che man­ten­go­no un simi­le atteg­gia­men­to: «Il ter­re­no dei “prin­ci­pi” astrat­ti è sem­pre … l’ultimo rifu­gio di colo­ro che han­no per­so la bus­so­la».
[36] V.I. Lenin, “Il signi­fi­ca­to inter­na­zio­na­le del­la guer­ra con­tro la Polo­nia”, aptresso.org, 26/3/2014.
[37] V.I. Lenin, “Per la sto­ria di una pace disgra­zia­ta”, Ope­re, vol. 26, Edi­zio­ni Lot­ta comu­ni­sta, p. 428.
[38] È chia­ro che con que­sta rifles­sio­ne non inten­dia­mo mini­ma­men­te giu­sti­fi­ca­re l’azione bel­li­ca del­la Rus­sia: ci limi­tia­mo a fare una fred­da ana­li­si di quan­to sta acca­den­do sul cam­po dal 24 feb­bra­io 2022 e a con­fron­ta­re i risul­ta­ti in ter­mi­ni di per­di­te civi­li e distru­zio­ne con quan­to acca­du­to inve­ce, ad esem­pio, nel­le guer­re in Iraq e in Afghanistan.
[39] V.I. Lenin, “Il fal­li­men­to del­la II Inter­na­zio­na­le”, mag­gio-giu­gno 1915, in Ope­re, cit., vol. 21, p. 210).
[40] Ibi­dem.
[41] V.I. Lenin, “Con­fe­ren­za del­le sezio­ni este­re del Posdr”, in Ope­re, cit., vol. 21, p. 142.
[42] G.D.H. Cole, Sto­ria del pen­sie­ro socia­li­sta, Edi­to­ri Later­za, vol. III, 1, pp. 120–121.
[43] L. Tro­tsky, “La guer­re et la IVe Inter­na­tio­na­le”, 10 giu­gno 1934, in Œuvres, vol. 4, Insti­tut Léon Tro­tsky, pp. 58–59 e 65.
[44] L. Tro­tsky, “Une leçon tou­te fraî­che (Sur le carac­tè­re de la guer­re pro­chai­ne)”, 10 otto­bre 1938, in Œuvres, cit., vol. 19, pp. 53 e segg. Estrat­ti di que­sto testo si tro­va­no, in ita­lia­no, nel volu­met­to L. Tro­tsky, Guer­ra e rivo­lu­zio­ne, Arnol­do Mon­da­do­ri Edi­to­re, 1973, pp. 24 e segg., con il tito­lo “Dopo la ‘pace’ impe­ria­li­sta di Monaco”.
[45] V.I. Lenin, L’imperialismo fase supre­ma del capi­ta­li­smo, La Cit­tà del Sole, 2001, p. 91. Chia­ria­mo che, ben­ché in que­sto pas­sag­gio fac­cia rife­ri­men­to solo alla spar­ti­zio­ne del­le “ter­re” (e, in altre par­ti del testo, del­le “colo­nie”), altro­ve Lenin richia­ma la spar­ti­zio­ne del­le “sfe­re di influenza”.
[46] Il New York Times dell’8 mar­zo 1992 pub­bli­cò estrat­ti di un docu­men­to (Defen­se Poli­cy Gui­dan­ce) redat­to dall’allora sot­to­se­gre­ta­rio alla Dife­sa Usa, Paul Wol­fo­wi­tz, in cui veni­va deli­nea­ta la nuo­va poli­ti­ca sta­tu­ni­ten­se di supre­ma­zia per­ma­nen­te degli Sta­ti Uni­ti sull’intero glo­bo. Nel testo si auspi­ca­va un’intesa paci­fi­ca con la Rus­sia qua­le Sta­to “suc­ces­so­re” dell’ex Urss sul­la base dell’economia di mer­ca­to e si pre­ci­sa­va che in quel momen­to, non pro­fi­lan­do­si una minac­cia glo­ba­le né un pote­re osti­le, «abbia­mo l’opportunità di affron­ta­re le minac­ce a livel­li e costi infe­rio­ri». Tut­ta­via, «il nostro pri­mo obiet­ti­vo è impe­di­re il rie­mer­ge­re di un nuo­vo riva­le, sul ter­ri­to­rio dell’ex Unio­ne Sovie­ti­ca …, che rap­pre­sen­ti una minac­cia dell’ordine di quel­la rap­pre­sen­ta­ta in pas­sa­to dall’Urss […] e richie­de che ci sfor­zia­mo di impe­di­re a qual­sia­si poten­za osti­le di domi­na­re una regio­ne le cui risor­se, sot­to un con­trol­lo con­so­li­da­to, sareb­be­ro suf­fi­cien­ti a crea­re una poten­za glo­ba­le».
[47] Sul con­cet­to di “accu­mu­la­zio­ne ori­gi­na­ria”, K. Marx, Il capi­ta­le, Libro pri­mo, cap. 24, Edi­to­ri Riu­ni­ti, 1994, pas­sim.
[48] Sia pure in manie­ra non linea­re, aven­do Putin in un cer­to momen­to ten­ta­to l’integrazione nell’Occidente come polo auto­no­mo, addi­rit­tu­ra attra­ver­so l’ingresso nel­la Nato.
[49] Non ci impe­la­ghe­re­mo qui nel­la que­stio­ne ste­ril­men­te dibat­tu­ta a sini­stra, se cioè la Rus­sia sia o meno un Pae­se impe­ria­li­sta. Per come in gene­re vie­ne affron­ta­to (misu­ran­do dog­ma­ti­ca­men­te col bilan­ci­no le sue quo­te di Pil o di espor­ta­zio­ne di capi­ta­le), il tema – dal nostro pun­to di vista pari a quel­lo sul “ses­so degli ange­li” – esu­la dall’economia di que­sto testo. A bene­fi­cio di colo­ro che agi­ta­no il famo­so lavo­ro di Lenin sull’imperialismo come i maoi­sti face­va­no con il “Libret­to ros­so” di Mao, ci rifac­cia­mo allo stes­so rivo­lu­zio­na­rio rus­so, che non si face­va scru­po­lo di defi­ni­re impe­ria­li­sta la Rus­sia zari­sta, ben­ché que­sta non espor­tas­se all’epoca nean­che un cope­co (V.I. Lenin, “Risul­ta­ti del­la discus­sio­ne sull’autodecisione”, in Ope­re, cit., vol. 22, p. 356).
[50] Come esem­pli­fi­ca­to nell’articolo già cita­to nel­la pre­ce­den­te nota 31.
[51] Un ordi­ne che, tut­ta­via, non è anda­to in cri­si con l’inizio del­la guer­ra in Ucrai­na. La cri­si dell’ordine mon­dia­le è ini­zia­ta mol­to tem­po pri­ma e pote­va esse­re per­ce­pi­ta dal­la deca­den­za dei Pae­si lea­der e del­le loro istituzioni.
[52] Pur non essen­do – quel­la sca­te­na­ta con l’invasione dell’Ucraina – una guer­ra di annes­sio­ne e di con­qui­sta, sta di fat­to che, con l’acquisizione del­le regio­ni del­la Cri­mea e, soprat­tut­to, del Don­bas, la Rus­sia si ritro­va ora ad aver pre­so il con­trol­lo di alme­no 12,4 tri­lio­ni di dol­la­ri di mine­ra­li. Secon­do alcu­ni stu­di, con l’occupazione di quel­le regio­ni Kiev avreb­be per­so a bene­fi­cio di Mosca il 63% dei depo­si­ti di car­bo­ne, l’11% dei depo­si­ti di petro­lio, il 20% dei depo­si­ti di gas natu­ra­le, il 42% dei depo­si­ti di metal­li e il 33% dei depo­si­ti di ele­men­ti del­le ter­re rare e altri mine­ra­li cri­ti­ci, inclu­so il litio, oltre a milio­ni di etta­ri di fer­ti­li ter­re­ni agricoli.
[53] I Brics si sono dota­ti di una ban­ca – la New Deve­lo­p­ment Bank, con sede a Shan­gai, fon­da­ta come alter­na­ti­va alle isti­tu­zio­ni di Bret­ton Woods a gui­da occi­den­ta­le – che, come si leg­ge dal suo sito, «è una ban­ca mul­ti­la­te­ra­le di svi­lup­po vol­ta a mobi­li­ta­re risor­se per infra­strut­tu­re e pro­get­ti di svi­lup­po soste­ni­bi­le nei Brics e in altri Emdc» (Pae­si eco­no­mi­ca­men­te più svi­lup­pa­ti). Recen­te­men­te, l’Arabia Sau­di­ta ha chie­sto di entrar­ne a far par­te come nono mem­bro (“Sau­di Ara­bia in talks to join Chi­na-based ‘Brics bank’”, Finan­cial Times, 28/5/2023): ciò che raf­for­ze­reb­be la pre­sen­za del­la New Deve­lo­p­ment Bank in Medio Orien­te, non­ché «i lega­mi di Riya­dh con i Pae­si Brics in un momen­to in cui l’Arabia Sau­di­ta, il più gran­de espor­ta­to­re mon­dia­le di greg­gio, sta anche allac­cian­do rela­zio­ni più stret­te con la Cina». Intan­to, il nume­ro dei Pae­si che han­no chie­sto di ade­ri­re ai Brics sta aumen­tan­do: ce ne sono qua­si venti.
[54] “Great power con­flict puts the dollar’s exor­bi­tant pri­vi­le­ge under threat”, Finan­cial Times, 20/1/2023. La segre­ta­ria al Teso­ro sta­tu­ni­ten­se, Janet Yel­len, rico­no­sce espli­ci­ta­men­te la minac­cia in atto all’egemonia del dol­la­ro, para­dos­sal­men­te favo­ri­ta pro­prio dal­le san­zio­ni appli­ca­te in un siste­ma eco­no­mi­co glo­ba­le fon­da­to sul dol­la­ro (“Sanc­tions again­st Rus­sia could hurt the US dol­lar as coun­tries like Iran and Chi­na seek alter­na­ti­ve cur­ren­cies for tra­de: Trea­su­ry Secre­ta­ry Janet Yel­len”, Insi­der, 17/4/2023). Il 2022 ha regi­stra­to per il dol­la­ro Usa un calo dell’8% del­la sua quo­ta di riser­ve glo­ba­li. Pur affer­man­do che al momen­to non esi­ste nes­su­na valu­ta che pos­sa sosti­tuir­lo, in una recen­te audi­zio­ne di fron­te al Con­gres­so la stes­sa Jel­len ha tut­ta­via aller­ta­to sul fat­to che la ten­den­za alla dimi­nu­zio­ne del­la quo­ta del dol­la­ro nel­le riser­ve mon­dia­li con­ti­nue­rà, così come con­ti­nue­rà la “diver­si­fi­ca­zio­ne” dei paga­men­ti in valu­te alter­na­ti­ve da par­te di altri Pae­si per le tran­sa­zio­ni tran­sfron­ta­lie­re. Intan­to, gli uffi­ci stu­di del­la più gran­de ban­ca sta­tu­ni­ten­se, JP Mor­gan, rimar­ca­no l’emergere di evi­den­ti  segna­li di de-dol­la­riz­za­zio­ne nell’economia glo­ba­le “JPMor­gan flags some signs of emer­ging de-dol­la­ri­sa­tion”, Reu­ters, 5/6/2023).
[55] V. pre­ce­den­te nota 17.
[56] “Deco­lo­ni­ze Rus­sia”, The Atlan­tic, 27/5/2022; non­ché, “Disu­nio­ne sovie­ti­ca. Lo smem­bra­men­to del­la Rus­sia non sem­bra più così impro­ba­bi­le”, Lin­kie­sta, 21/9/2022. Si veda anche “Corian­do­li di Rus­sia”, Limes, vol. 9, 2022, p. 16. Que­sto inve­ce è il mani­fe­sto del movi­men­to “deco­lo­niz­za­to­re”: “Decla­ra­tion about the deco­lo­ni­za­tion of Rus­sia”, Vol­tai­re­Net, 24/7/2022. Per una voce di segno oppo­sto pro­ve­nien­te dal ven­tre degli Usa, “Why pushing for the break up of Rus­sia is abso­lu­te fol­ly”, Respon­si­ble Sta­te­craft, 24/3/2023.
[57] La Rus­sia è il secon­do più gran­de pro­dut­to­re di petro­lio al mon­do (11,3 milio­ni di bari­li al gior­no) e il secon­do deten­to­re di riser­ve di car­bo­ne; è il secon­do pro­dut­to­re di gas, ma il pri­mo espor­ta­to­re; pos­sie­de enor­mi gia­ci­men­ti di fer­ro, oro, argen­to e dia­man­ti che la col­lo­ca­no ai pri­mi posti nel mon­do; è uno dei mag­gio­ri estrat­to­ri di nichel e uno dei prin­ci­pa­li pro­dut­to­ri dei metal­li del grup­po del pla­ti­no (pla­ti­no, pal­la­dio, rodio, osmio, iri­dio e rute­nio); dispo­ne di impor­tan­ti riser­ve di ter­re rare e mine­ra­li cri­ti­ci essen­zia­li per i pro­dot­ti tec­no­lo­gi­ca­men­te avan­za­ti, pur non essen­do ai pri­mi posti nel­la cate­na di tra­sfor­ma­zio­ne o produzione.
[58] “Pour Emma­nuel Macron, l’Otan est en état de «mort céré­bra­le»”, Le Figa­ro, 7/11/2019.
[59] “Defen­se Poli­cy Gui­dan­ce”, cit., (v. nota 46).
[60] Qui la dichia­ra­zio­ne uffi­cia­le.
[61] “Olaf Scholz Pled­ges $107bn For Ger­man Army, Says It Will Be ‘lar­ge­st’ Among Nato Nations”, Repu­bli­c­World, 31/5/2022.
[62] G. Mariot­to, “L’America teme che Ber­li­no fac­cia da sé”, Limes, vol. 3, 2022, p. 195.
[63] S Hersh, “Come gli Sta­ti Uni­ti han­no distrut­to il gasdot­to Nord Stream”, Assal­to al Cie­lo, 4/3/2023. Si veda anche, del­lo stes­so Auto­re, “La coper­tu­ra”, Assal­to al Cie­lo, 28/3/2023.
[64] Espli­ci­ta­men­te, la stam­pa economico‑finanziaria spe­cia­liz­za­ta rico­no­sce che, pro­prio per effet­to del decli­no in atto dell’economia tede­sca, «il moto­re eco­no­mi­co dell’Europa si sta gua­stan­do» (“Europe’s Eco­no­mic Engi­ne Is Brea­king Down”, Bloom­berg, 25/5/2023).
[65] Per un appro­fon­di­men­to, “L’Unione euro­pea di fron­te all’Inflation Reduc­tion Act ame­ri­ca­no”, Osser­va­to­rio Cpi (Uni­ver­si­tà cat­to­li­ca), 14/3/2023. Si veda anche, “L’I­ra (Infla­tion reduc­tion act) è la leg­ge di Biden che con­ce­de sus­si­di green record, men­tre l’Ue dor­me e liti­ga sul pri­ce cap”, Ita­liaOg­gi, 25/11/2022.
[66] “U.S., Allies Won­der if They Can Count on Ger­ma­ny in Rus­sia-Ukrai­ne Cri­sis”, The Wall Street Jour­nal, 1/2/2022.
[67] “Biden vows to shut down Nord Stream 2 if Rus­sia inva­des, as U.S. and Ger­ma­ny pled­ge uni­ty”, Poli­ti­co, 7/2/2022.
[68] “Der Eu geht das Geld aus”, Han­del­sblatt, 6/5/2023.
[69] “Remarks by Natio­nal Secu­ri­ty Advi­sor Jake Sul­li­van on Renewing Ame­ri­can Eco­no­mic Lea­der­ship at the Broo­kings Insti­tu­tion”, The Whi­te Hou­se, 27/4/2023.
[70] «Quan­to più il capi­ta­li­smo è svi­lup­pa­to, quan­to più la scar­si­tà di mate­rie pri­me è sen­si­bi­le, quan­to più acu­ta è in tut­to il mon­do la con­cor­ren­za e la cac­cia alle sor­gen­ti di mate­rie pri­me, tan­to più dispe­ra­ta è la lot­ta per la con­qui­sta del­le colo­nie» (V.I. Lenin, L’imperialismo, cit., p. 98).
[71] Le voci più rifles­si­ve del capi­ta­li­smo scri­vo­no sen­za peli sul­la lin­gua che il G7 deve accet­ta­re l’idea di non poter più gover­na­re il mon­do e che l’egemonia ame­ri­ca­na e il pre­do­mi­nio eco­no­mi­co del­le set­te gran­di eco­no­mie «sono ormai sto­ria» (M. Wolf, “The G7 must accept that it can­not run the world”, Finan­cial Times, 23/5/2023). Per uno stu­dio sul­la cadu­ta del sag­gio di pro­fit­to negli Sta­ti Uni­ti, si veda M. Roberts, “The US rate of pro­fit in 2021”, The Next Reces­sion, 18/12/2022.
[72] Cfr. V. Arca­ry, “Notas sobre cri­ses eco­nô­mi­cas e revo­lu­cão em per­spec­ti­va histó­ri­ca”, in Capi­ta­li­smo em cri­se, Edi­to­ra Sun­der­mann, 2009, pp. 141 e ss.
[73] L. Tro­tsky, “La guer­re et la IVe Inter­na­tio­na­le, cit., p. 55.
[74] Ma l’ex segre­ta­rio gene­ra­le del­la Nato Anders Rasmus­sen ci infor­ma che la Polo­nia, che potreb­be esse­re segui­ta a ruo­ta da altri Pae­si, potreb­be invia­re a com­bat­te­re in Ucrai­na mili­ta­ri sot­to men­ti­te spo­glie di “volon­ta­ri” (“Nato mem­bers may send troops to Ukrai­ne, warns for­mer allian­ce chief”, The Guar­dian, 7/6/2023).
[75] Ci ven­go­no in men­te, al riguar­do, i ver­si del gran­de poe­ta rus­so Maja­ko­v­skij: «Per l’allegria il pia­ne­ta nostro è poco attrez­za­to. Biso­gna strap­pa­re la gio­ia ai gior­ni futu­ri».
[76] L. Tro­tsky, La mia vita, Mon­da­do­ri, 1961, p. 214.